La cronaca ha riportato di recente la notizia dell'uccisione, voluta da Donald Trump, del temutissimo generale iraniano Soleimani. A prescindere dalle ragioni a sostegno del raid statunitense, più o meno esplicitamente dichiarate ma non supportate da prove e sussumibili, banalmente, nel detto "se vuoi la pace prepara la guerra", certo è che siffatta azione ha riportato l'attenzione generale sullo scarsissimo peso che il nostro paese avrebbe nello scacchiere internazionale e sulla corrispondente debolezza della nostra politica estera, affidata attualmente a Luigi Di Maio, in considerazione della mancata comunicazione dell'operazione anche agli Alleati italiani. Ma, considerato che Trump ha praticamente agito, per così dire, in "solitaria", baipassando addirittura lo stesso Congresso e il potere fondamentale che esso esprime, è giusto far ricadere la responsabilità della scarsa considerazione, forse solo apparentemente riservata al nostro paese, sull'attuale Ministro degli Esteri? L'Italia quanto conta veramente a livello non solo Europeo, se di una Europa Unita, laddove esista, vogliamo parlare, ma anche a livello internazionale? È stato, o comunque, è legittimo, oppure non lo è, l'uso della forza nell'ambito delle relazioni internazionali quand'anche, come sembrerebbe nel caso di specie, si sia deciso di agire in piena violazione dello stesso Statuto delle Nazioni Unite il quale invita espressamente, invece, a risolvere pacificamente le situazioni potenzialmente compromissorie della pace? Non è che forse l'esclusione del nostro Paese dall'iniziativa trumpiana in fondo, e tutto sommato, è stato solo un bene considerato che non esisteva alcun conflitto in corso con Teheran? Lo storico doppio binario della politica estera italiana, atlantica ed europeista al tempo stesso, conserva ancora la sua validità?

Ebbene, di fronte a tanti interrogativi, sento di dover dare per premesso che secondo, stavolta, il nostro "Giggino" nazionale, e le sue qualità, spesso oggetto di simpatiche caricature che hanno pure contribuito ad accentuarne la visibilità, niente hanno a che vedere con l'iniziativa presidenziale americana, diretta solamente, seppur pericolosamente, secondo il mio umile punto di vista, a dare una concreta prova di forza in Medio Oriente e a rimarcare la propria supremazia indiscussa tanto "in casa", soprattutto dopo l'"impeachment" per la questione Ucraina, quanto nell'ambito di uno scenario geopolitico da sempre complesso. Intanto, perché il nodo cruciale della carente politica estera italiana, a mio parere, è rappresentato non già, o non solo, dalle più o meno discutibili competenze e/o credibilità dei vari Ministri succedutesi negli anni, quanto piuttosto da una mancata attualizzazione del dualismo tra "europeismo" ed "atlantismo" tipico anche di moltissimi altri paesi europei, il quale, lungi dall'essere considerato ancora come un doppio binario costituito da due linee parallele parimenti volgenti nella medesima direzione ma non intersecantesi tra loro, dovrebbe piuttosto assumere una dimensione unitaria finalizzata a rafforzare l'idea di un "euro atlantismo", sebbene da parecchi contestato, capace di costituire lo strumento di coesione non solo economica, ma anche militare, dei Paesi facenti parte dell'UE, nonché, al tempo stesso, idoneo a dare impulso alla creazione di una politica estera europea comune utile a controbilanciare lo strapotere atlantico. Quindi, perché l'Italia, da qualche anno oramai, complice probabilmente lo stato di gravissima criticità economica che la attanaglia, è apparsa piuttosto disorientata rispetto ai mutamenti del contesto internazionale e alle nuove forze in esso emergenti risultando, così, incapace di ritrovare il ruolo di prim'ordine tra le nazioni atlantiche da sempre ricoperto quanto meno fino all'epoca Craxiana. Inoltre, perché, ad oggi, il nostro bel Paese, si rivela incapace di tenere a freno le iniziative in funzione disgregante della compagine europea provenienti da diversi leader nazionali, come ad esempio da Salvini in Italia e Le Pen in Francia, i quali guardano al protezionismo e alla xenofobia trumpiana come solido approdo per sdoganare la piena affermazione del nazionalismo e del populismo a tutto discapito non solo della Nato, in sé e per sé considerata, e definita "obsoleta" dallo stesso Mister President Americano, ma anche di relazioni internazionali aperte in una dimensione di progressivo indebolimento delle ragioni europeiste e di altrettanto progressiva conseguente affermazione di ideologie cosiddette euro-scettiche. Infine, perché col tramonto della DC, di cui oggi si avverte, con impellente nostalgia, un disperato bisogno, sembra essere definitivamente scemata la capacità di far convivere la dimensione politica internazionale con quella nazionale fino a quell'epoca gloriosa ampiamente valorizzata e che aveva assicurato ad una Italia fortemente identitaria, portatrice di valori democratici e soprattutto cristiani, di rafforzarsi proprio grazie al sodalizio sovranazionale occidentale. Ma, se così stanno le cose, e se questo disorientamento italiano, come io credo, è solo passeggero e dovuto ad uno scenario di equilibri di potere in via di definizione, quale potrebbe essere oggi il ruolo dell'Italia proprio con riferimento al quadro sopranazionale? Può assumere ancora un ruolo nevralgico?

La risposta non può che essere positiva giacchè l'Italia, sul piano delle relazioni con la super potenza americana, e nonostante le varie scosse intestine, ha da sempre rappresentato il Paese del dialogo e della cooperazione con gli altri Paesi Mediterranei ponendosi come imprescindibile "ponte", addirittura, anche con la Russia all'insegna del motto "unisci e comanda" da contrapporre coraggiosamente al "divide et impera" di ispirazione trumpiana. La via è tracciata, occorre solo percorrerla.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato, Nuoro)
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