Il clima che si respira nella maggioranza è da resa dei conti in vista del Consiglio dei ministri odierno che dovrebbe sciogliere almeno uno degli innumerevoli motivi di scontro tra Lega e Movimento 5 Stelle, quello sul cosiddetto Salva Roma, che trasferirebbe allo Stato parte dei debiti di Roma Capitale.

Oggi si discute il decreto crescita, approvato salvo intese (formula sibillina per dire senza intesa) lo scorso 4 aprile, al cui interno c'è il provvedimento contestato dal Carroccio.

E Matteo Salvini già dalle prime ore del mattino mette le cose in chiaro: "O si aiutano tutti i comuni in difficoltà, o nessuno. È tutto molto semplice, non c'entra nulla il colore politico di un comune o la simpatia che posso avere o non avere per la Raggi. Il tema è l'equità, perché bisognerebbe favorire Roma? Se è per un comune non si vota, se si aiutano tutti sì", afferma il vicepremier, aggiungendo che la caduta del governo non è all'ordine del giorno. "Abbiamo troppe cose da fare, quindi figuriamoci se la Lega abbia voglia di far saltare tutto".

Gli fa eco Giulia Bongiorno: "Qualsiasi norma che vada ad aiutare un comune va benissimo, poi Roma io la ho particolarmente a cuore. Ma dobbiamo tenere in considerazione anche il fatto che esistono altri comuni che hanno delle esigenze, quindi il dibattito di oggi dovrà portare a una sintesi tra le esigenze di Roma e quelle di altri comuni".

Il "Salva Roma" si intreccia con il caso Siri, il sottosegretario ai Trasporti leghista indagato per corruzione. "I leghisti alzano un polverone su Roma e sulla Raggi per offuscare il caso Siri", contrattaccano i pentastellati. E Laura Castelli sottolinea che il "Salva Roma" è a costo zero per lo Stato e per i cittadini, anzi. "Porterebbe a un considerevole risparmio perché si potrebbero rinegoziare i mutui sottoscritti dal comune, debitore per circa 12 miliardi di euro".

Alla fine la soluzione potrebbe essere la seguente: escludere la norma dal dl Crescita e introdurla nel dibattito parlamentare, temperata secondo le richieste del Carroccio. Ovvero, con aiuti per altre città in difficoltà finanziarie, da Catania a Savona, passando per Caserta e Rieti.

Armando Siri (Ansa)
Armando Siri (Ansa)
Armando Siri (Ansa)

IL CASO SIRI - Così verrebbe sciolto uno dei nodi all'interno dell'esecutivo, proprio nel momento in cui rischia di infiammarsi nuovamente un altro fronte, quello della vicenda di corruzione che vede indagato Siri. Il sottosegretario nei prossimi giorni dovrebbe parlare con i pm che lo indagano, colloqui richiesti dallo stesso Siri per chiarire la sua posizione.

Ma la pressione dei pentastellati resta alta. Il ministro Toninelli ha tolto le deleghe al leghista, privandolo di fatto di qualsiasi potere. Il senatore M5S Primo Di Nicola, si appella a Conte: "Deve dare un segnale, chiedere e ottenere le dimissioni del sottosegretario".

E Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia, affonda la lama nel burro: "Luigi Di Maio, da capo politico, ha fatto capire che sarebbe intollerabile la permanenza di Armando Siri nella compagine governativa, pertanto siamo fiduciosi che presto verrà preso un provvedimento in tal senso".

Il diretto interessato non molla, e con lui c'è anche Matteo Salvini: "O sono cambiati il diritto penale e la Costituzione, oppure in Italia si è colpevoli in caso di processo e di condanna. Aspetto che i giudici facciano il loro lavoro, spero in fretta", ha affermato il vicepremier, lasciando intendere che di dimissioni, per il momento, non se ne parla.

Proprio oggi, fa sapere il capogruppo Andrea Marcucci, il Pd depositerà in Senato la mozione di sfiducia contro Armando Siri. "La Lega ora vuole l'impunità, quella classica, dei potenti. Ma li fermeremo unendo l'Italia onesta che lavora e che produce", afferma Zingaretti.

Una mozione che allarma i gialloverdi, che a Palazzo Madama possono contare su appena quattro voti in più rispetto alla maggioranza assoluta. Sono 165 i senatori, 107 del M5S e 58 della Lega, ma potrebbe non bastare qualche franco tiratore. Pronti a correre in soccorso di Siri ci sono infatti Forza Italia e Fratelli d'Italia, ricomponendo così quella maggioranza di centrodestra che ancora oggi - alla luce dei continui litigi tra Lega e Movimento - richiamano a gran voce in molti, da Gasparri alla Meloni.

(Unioneonline/L)
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