"Giulio Regeni lo abbiamo sequestrato noi".

La confessione è di uno dei cinque funzionari della National security egiziana sospettati del sequestro di Giulio Regeni, il ricercatore rapito al Cairo il 25 gennaio del 2016 e trovato morto pochi giorni dopo.

"Credevamo che fosse una spia inglese, lo abbiamo preso, io sono andato e dopo averlo caricato in macchina abbiamo dovuto picchiarlo. Io l’ho colpito al volto".

Parole che non sono state pronunciate in sede ufficiale ai magistrati italiani, o a quelli egiziani, tutt'altro: l'agente lo ha confidato a un collega nell'estate del 2017. Regeni, ha detto, era finito nel mirino della sicurezza egiziana in un'operazione mirata al contenimento di manifestazioni anti-regime. Poi fu picchiato. Su torture sul corpo di Regeni e infine l'esecuzione non ha detto nulla.

Un testimone che parla arabo - forse gli interlocutori non ne erano a conoscenza - ha avuto modo di ascoltare e comprendere il contenuto di questa conversazione.

E adesso ha deciso di parlare, e mettere a parte i legali e consulenti della famiglia Regeni che a loro volta hanno informato i magistrati romani.

La testimonianza, secondo il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, è attendibile, perciò è stata inoltrata al Cairo una nuova rogatoria. Lo ha detto anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, spiegando di aver parlato al telefono con il presidente egiziano Al Sisi: "C’è una rogatoria da perorare oltre che un aggiornamento della situazione libica".

(Unioneonline/D)
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