Il 21 marzo di ogni anno si celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera, che quest’anno è giunta alla sua ventiseiesima edizione. Non ci saranno strade affollate con musica, canti e balli, niente piazze piene di persone che tengono in mano cartelloni e si abbracciano. Non ci saranno neppure le aule piene di ricordi. Il Covid ha radicalmente cambiato la normalità, smussando le abitudini e trasformandole in una nuova forma a cui pian piano ci stiamo tutti abituando. La memoria, però, rimane solida e viva.

L’iniziativa nasce dal dolore di una madre che ha perso il proprio figlio nella strage di Capaci e non ha sentito pronunciarne il nome. Un dolore sempre più grande, insopportabile, perché alla vittima viene negato il diritto di essere ricordato. Quel lungo elenco di morti ammazzati per mano della mafia, dal 1996, è diventato un impegno civile e viene letto ogni anno nelle città italiane per mantenere viva la memoria e il ricordo.

“Se oggi guardo avanti con fiducia ad una Sicilia liberata dalla cappa degli interessi e della violenza della mafia – ha ricordato in un suo recente intervento pubblico l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice – e se sono qui a sperare in un futuro di pace, giustizia e dignità lo devo anche alla testimonianza di due sacerdoti e di un magistrato: alla testimonianza di don Pino Puglisi, con il quale ho condiviso alcune esperienze con i giovani, all’esempio di don Peppe Diana, ucciso a 36 anni dalla camorra e alla testimonianza offerta da Rosario Livatino, magistrato ucciso a 38 anni e profondamente cattolico. Da loro ho ricevuto la testimonianza che una Chiesa libera e liberatrice è una Chiesa che non cerca appoggi o privilegi dalle classi dirigenti, ma che confida solo nella potenza esaltante del Vangelo di Gesù Cristo”. Tanti i morti ammazzati: magistrati, giornalisti, uomini, donne, bambini. Tante le famiglie che a distanza di anni attendono ancora risposte sulla morte del proprio congiunto e tante quelle famiglie che non possono piangere un corpo perché fatto sparire dalla lupara bianca.

L’educazione alla legalità rappresenta un valore significativo nel momento in cui c’è la consapevolezza del passato, e di quello che c’è stato diventa conoscenza. La conoscenza del passato e della storia rappresenta un elemento fondamentale per estirpare il germe delle mafie e della corruzione, in una società che lotta quotidianamente per sconfiggere ogni forma di illegalità. Sono tanti i nomi delle vittime delle mafie e che oggi costruiscono un percorso della memoria importante ed essenziale per gli italiani. Uno strumento importante soprattutto per le nuove generazioni che attraverso la memoria riconoscono i valori del sacrificio.

Pochi giorni fa, ricordiamo, è stato condannato all’ergastolo il boss Nino Madonia per il duplice omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, avvenuto il 5 agosto del 1989. Una sentenza importante, arrivata dopo 32 anni di misteri, depistaggi e battaglie. Molte ancora le domande che ancora cercano risposte in questa torbida vicenda. Vincenzo Agostino, papà di Nino, non taglia la barba da quando gli hanno ucciso il figlio e da quel giorno, insieme alla moglie Augusta Schiera, morta il 28 febbraio 2019, non ha mai smesso di cercare la verità. Un simbolo di forza e giustizia che attende risposte certe da più di trent’anni. “Come sempre e prima di tutto, un grande e affettuoso abbraccio al padre Enzo nel ricordo anche della compianta mamma Augusta. È infatti alle famiglie di Antonino Agostino e di Ida Castelluccio che oggi lo Stato, anche se con un colpevole ritardo durato oltre trent'anni, ha dato una prima risposta. Una risposta che riscatta in parte le responsabilità che tutte le Istituzioni hanno per i ritardi nell'accertamento della verità. Il Comune, che in questo processo era costituito come Parte Civile tramite la sua avvocatura, proseguirà con Enzo e con tutti i familiari a chiedere che piena luce sia fatta non solo su quel delitto, ma anche sui tanti misteri, i colpevoli depistaggi e le omissioni che hanno impedito fino ad oggi di colpire mandanti, esecutori e beneficiari di quel terribile delitto”, ha scritto su Facebook il sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

Angelo Barraco
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