"Spiegazioni inverosimili degli atteggiamenti da loro assunti, che in taluni momenti rasentano una vera e propria crudeltà nei confronti di un ragazzo ferito che urla di dolore e viene rimproverato per questo. Un ragazzo che è il fidanzato di Martina e che il Ciontoli afferma di tenere in considerazione come un figlio".

E' quanto scrivono i giudici della corte d'assise d'appello di Roma nelle motivazioni della sentenza che ha condannato a 14 anni Antonio Ciontoli e a 9 anni e 4 mesi il resto della famiglia.

Gli imputati, si legge, hanno messo in atto "depistamenti" consistiti "nella pulizia delle superfici delle pistole e del bossolo, della pulitura delle tracce di sangue e soprattutto nel luogo dove asseritamente era avvenuto il ferimento del giovane".

Ancora: sono "ripetute le menzogne rivolte per circa 110 minuti ai soccorritori sia prima del loro intervento al momento che dopo". I Ciontoli "tentano di raggiungere tra di loro un accordo su quanto dichiarare: si deve ipotizzare che la scelta di un comportamento di un certo tipo fu del capo famiglia e cioè Antonio Ciontoli", ma "tutti aderirono consapevolmente pur non potendosi non rendere conto delle conseguenze che avrebbe avuto".

Hanno avuto "110 minuti di tempo per concordare una versione da fornire agli investigatori", che aveva come primo obiettivo "far passare sotto silenzio l'accaduto, far credere a un incidente non voluto". E tutti hanno "accettato il rischio e le conseguenze" del loro comportamento.

IL LEGALE DEI VANNINI - "Tutte cose che abbiamo sempre detto e pensato e che ora, finalmente, emergono con chiarezza in una sentenza. Ora attendiamo, con più serenità, il definitivo verdetto della Cassazione per dire che Marco ha avuto la migliore Giustizia umanamente possibile. Certo, non sarà facile dimenticare chi ha affermato che quel colpo d'arma da fuoco e quella ferita non erano stati avvertiti neppure dal povero Marco perché, altrimenti, 'sarebbe stato lui a sollecitare i soccorsi'", afferma Celestino Gnazi, legale della famiglia Vannini.

"In ogni caso - conclude - non verrà lasciato nulla di intentato affinché ognuno si assuma le proprie responsabilità. Dovrà assumersele anche chi è stato sentito come testimone innanzi alla Corte che, in relazione a quanto è stato detto, ha parlato di 'assoluta assenza di credibilità' e di 'propensione alla reticenza'. Non ci si può rassegnare al perenne oltraggio della verità e verrà fatto tutto il possibile

per farne emergere ancora un altro pezzo".

(Unioneonline/L)
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