Beni per un valore di circa 50 milioni di euro sono in corso di sequestro da parte della direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria, finanzieri dello Scico di Roma e del comando provinciale della Guardia di finanza di Reggio Calabria.

Il provvedimento ha colpito tre imprenditori, Antonino Scimone, di 45 anni, Antonino Mordà (51) e Pietro Canale (41), indiziati di appartenenza o contiguità a note cosche reggine.

La figura degli imprenditori era emersa nel corso dell'operazione "Martingala", condotta da personale della Dia e della Guardia di finanza di Reggio Calabria e conclusa nel febbraio 2018 con l'esecuzione di un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso nei confronti di 27 persone, ritenute responsabili a vario titolo dei reati di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, di beni, di utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell'attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale nonché associazione a delinquere finalizzata all'emissione di false fatturazioni e reati fallimentari nonché con il sequestro di 51 società, 19 immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di circa 100 milioni di euro.

All'operazione hanno partecipato anche i reparti operanti nelle provincie di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza, Lecce e Sassari, con il coordinamento della Procura Nazionale Antimafia diretta da Federico Cafiero De Raho e della Dda di Reggio Calabria diretta da Giovanni Bombardieri.

I sequestri - disposti dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale reggino, presieduta da Ornella Pastore, su richiesta congiunta di de Raho e Bombarideri - sono in corso di esecuzione in tutta Italia.

L'organizzazione smantellata poteva contare su un gruppo di società di comodo, definite "cartiere", che, secondo l'accusa, venivano coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi fittizie e che hanno consentito al sodalizio di mascherare numerosi trasferimenti di denaro da e verso l'estero, funzionali alla realizzazione di molteplici condotte illecite, quali "in primis" il riciclaggio ed il reimpiego dei relativi proventi. Questo meccanismo, con la predisposizione di false transazioni commerciali, ha costituito il volano per l'instaurazione di vari flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi "clienti" che di volta in volta si rivolgevano a loro per varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale.

Le indagini hanno svelato, tra l'altro, l'esistenza di una folta schiera di imprenditori che hanno fruito dei "servizi" offerti dall'associazione promossa e capeggiata, secondo l'accusa, da Scimone. Tra questi era emersa la figura di Canale - indagato per intestazione fittizia di beni, emissione ed utilizzo di fatture false e reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie - nonché quella dell'imprenditore Antonino Mordà, rinviato a giudizio per associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, bancarotta, usura e reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie, fattispecie in diversi casi aggravate dall'aver agevolato gli interessi della 'ndrangheta.

Dagli accertamenti in ambito economico/patrimoniale, dopo essere emerso il profilo di pericolosità sociale degli indagati, è stato accertato - secondo l'accusa - che i loro patrimoni erano sproporzionati rispetto al reddito e, soprattutto, la natura mafiosa delle attività d'impresa svolte nel tempo.

(Unioneonline/v.l.)
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