"Sto sentendo delle grida... si sentono delle grida allucinanti, proprio con una violenza inaudita".

È il racconto dei testimoni dell'omicidio di Daniele De Santis e Eleonora Manta a confermare quella che il pm definisce la "spietatezza" di Antonio De Marco, l'assassino 21enne che ha confessato il terribile duplice omicidio di Lecce.

Nel giro di dodici minuti, dalle 20.45 alle 20.57 del 21 settembre, arrivano alle forze dell'ordine 10 telefonate che descrivono quello che sta accadendo nel palazzo di via Montello della città pugliese.

TESTIMONE CHIAVE - Uno dei testimoni chiave è un uomo di origini albanesi che ha visto De Marco fuggire dal palazzo subito dopo l'omicidio e che lo ha riconosciuto in un video registrato da un sistema di videosorveglianza. Lui era a passeggio con il cane vicino alla palazzina dove vivevano i due.

"Ho udito delle urla di una donna e di rumori di vetri infranti...le urla erano di una donna ed erano disperate di aiuto...sentivo la donna che diceva 'Basta Andrea'". Mentre il testimone richiama i carabinieri, l'assassino esce dal palazzo.

"Era alto circa 1,80 - racconta ancora il giovane albanse - corporatura normale, carnagione chiara, indossava una felpa scura con cappuccio, jeans blue scuso e zaino. Durante la fuga il soggetto aveva un grosso coltello di grosse dimensioni".

Le urla di Eleonora sono state sentite anche da 5 ragazzi che vivono nella casa dello studente, vicino alla palazzina dove è avvenuto l'omicidio. I cinque "udivano le urla disperate di una donna" scrive il pm che poi aggiunge: "tutti e cinque sostenevano di aver udito delle frasi di un uomo del tipo 'ti prego Andrea basta! Fermati, basta".

Un'altra testimonianza fondamentale è quella di un altro inquilino che abita nel palazzo dove vivevano Eleonora e Daniele. "Attorno alle 20.45 - racconta - sentivo delle urla provenire dall'abitazione sopra la mia...in particolare sentivo dei forti rumori di mobili che cadevano e delle urla di una donna e di un uomo....sentivo che pronunciavano delle frasi tipo 'aiuto, che stai facendo' Ahi!' Le urla erano tali che capivo subito che non si trattava di una semplice lite". Quindi la voce di Eleonora che implora l'assassino. "Che stai facendo? Ci stai ammazzando". Poco dopo l'uomo vede l'omicida inseguire per le scale l'arbitro Daniele De Santis. "Notavo una persona che si trascinava per le scale" e un'altra "che si avvicinava e lo colpiva più volte e sentivo la persona per terra che implorava il soggetto che lo stava colpendo dicendogli più volte 'basta, basta, basta'". Subito dopo, conclude, "ho notato questa figura che, con passo normale e apparentemente tranquillo, scendeva le scale".

Lui e la sua fidanzata fanno complessivamente 3 telefonate alle forze di polizia. "C'è qualcuno che sta accoltellando qualcun altro sulla scala, dovete arrivare velocemente, non si apre il portone dovete sfondarlo, perché io non posso scendere ad aprilo, c'è un pazzo sulle scale che sta accoltellando qualcuno".

L'ultimo a sentire Eleonora viva è un altro ragazzo residente anche lui alla casa dello Studente. Il giovane chiama il 112 e mette il telefono in vivavoce per far sentire le urla della donna. "Al termine della telefonata - aggiunge - ricordo di aver fatto caso che le urla di aiuto della donna andavano ad affievolirsi sempre più fino a non udirle più".

SADISMO E MACABRA RITUALITA' - La pm Maria Consolata Moschettini nel provvedimento di fermo nei confronti del 21enne Antonio De Marco, che ha confessato il duplice omicidio dei due fidanzati di Lecce, spiega il sadismo e la ferocia inaudita dell'assassino. "La sproporzione tra la motivazione del gesto (potrebbe avere avuto in precedenza una lite) e l'azione delittuosa è ulteriore elemento tale da fare ritenere che quest'ultima sia stata perpetrata per mero compiacimento sadico nel provocare con le predette modalità la morte della giovane coppia. Non si spiega se non nella direzione di inquadrare l'azione in un contesto di macabra ritualità la presenza di oggetti non necessari a provocare la morte della giovane coppia (striscette, soda ecc...). A tal riguardo giova altresì evidenziare come sul copricapo sia stata disegnata con un pennarello nero una bocca, quando ciò non risultava necessario all'economia del reato. Tali elementi unitariamente considerati fanno ritenere assai probabile il pericolo di recidiva in considerazione dell'estrema pericolosità dell'indagato".

(UNioneonline/v.l.)
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