Abbiamo intervistato il professor Massimo Galli, primario di Malattie Infettive dell'ospedale Sacco di Milano. Abbiamo parlato con uno dei massimi esperti in materia, ormai volto noto della tv, della gestione italiana (e lombarda) della pandemia, della fase 2. E, ovviamente, del tema del momento per i sardi, il passaporto sanitario o certificato di negatività.

Professor Galli, come siamo entrati nella fase 2?

"Siamo entrati a gamba tesa, anzi, un po' alla 'sperindio'. Molte iniziative da prendere non sono state prese. Tuttavia, sembra che la faccenda si sia messa a posto in termini di gestione e che al momento non ci siano segnali importanti di problemi seri".

Cosa si poteva fare e non è stato fatto?

"Si poteva essere più proattivi, specie nelle Regioni più colpite. Si potevano cercare le persone lasciate in casa con l'infezione in atto e dar loro supporto, cosa che è stata fatta troppo poco. In tanti nel periodo di lockdown si sono chiusi in casa con pochi sintomi della malattia, queste persone andavano cercate, avvicinate e testate. Perché ora tutti possono uscire, senza sapere se sono ancora infetti o no. Invece abbiamo deciso di affidarci a mascherine e distanziamento, alla responsabilità degli italiani in sostanza".

Incrociare i test rapidi con i tamponi sarebbe stata una strada percorribile per ripartire più in sicurezza?

"Io li sto facendo in diversi comuni lombardi per una ricerca epidemiologica, e credo lo stiano facendo anche a Sassari. Un sistema che, oltre ad essere valido per un'indagine epidemiologica, avrebbe potuto esserlo anche per una ripresa in maggiore sicurezza. Una diagnosi al 100% non esiste, chi ha contratto un'infezione ieri e fa il tampone domani forse sarà negativo, ma tra sette giorni sarà positivo. Posto che la certezza al 100% non l'avrai mai, con i test rapidi vai a scremare coloro che hanno gli anticorpi, poi a loro si fa il tampone. E se sono positivi non li mandi a lavoro".

Chi ha sviluppato gli anticorpi Igg (quelli che compaiono dopo nei pazienti, ndr) può dirsi immune?

"La patente d'immunità non esiste, ma è ragionevole pensare che chi abbia sviluppato e superato la malattia possa stare tranquillo. Almeno per un po'".

Gli effetti delle prime riaperture non si vedono, quanto bisogna attendere per giudicare gli effetti delle seconde, quelle del 18 maggio?

"Direi che li conosceremo per metà giugno. Allora sapremo di che morte dobbiamo morire o, mi auguro, di che vita potremo vivere".

Avrebbe riaperto alla mobilità tra Regioni il 3 giugno? Anche alla Lombardia?

"Senza considerare gli aspetti economici, se avessi dovuto dire cosa fare semplicemente considerando gli aspetti del mio mestiere, avrei detto di aspettare fino a metà giugno. E, per riaprire le attività commerciali, almeno fino alla fine di questo mese, usando un criterio di precauzione che avrebbe soffocato l'economia".

Però...

"Ma abbiamo bisogno di riprenderci e di convivere con una cosa come questa. Quindi si mantengano al massimo possibile le cautele, basate ora su mascherine, distanziamento e responsabilità individuale".

Non ha senso dire una Regione sì e l'altra no?

"No. O stabilisci controlli rigidi e nelle Regioni che non riapri non fai riaprire neanche le attività, altrimenti separazioni del genere non hanno senso. Il virus non conosce confini, che tipo di controlli metti o minacce attui? Bisogna fare molta attenzione sulla possibile nascita di nuovi focolai, questo è importante. Se ricominci lo fai del tutto, e se qualcosa non ha funzionato si richiude".

E la Serie A?

"Il concetto è lo stesso, ma ovviamente non si possono riaprire gli stadi. Il rischio che giocatori e staff si portino qualche problema c'è, ma non è una situazione tale da dover giustificare limitazioni drastiche".

Il passaporto sanitario o certificato di negatività...

"Serve solo a complicare la vita, proponendo qualcosa di poco realizzabile che non ha senso. Rende tutto più difficile e rende anche meno attrattive le Regioni. Mi sembra una soluzione né sostenibile scientificamente, né sostenibile praticamente, né particolarmente utile".

Perché?

"Stabilito che le situazioni pericolose sono le infezioni recenti che possono essere più contagiose, e che su quelle una condizione di certezza non ce l'hai, il mettere in piedi una patente del genere ha un significato limitatissimo. Se avessi la garanzia almeno al 90% di beccare le infezioni recenti, che sono anche le più pericolose, avrebbe più senso. Ma così ipotizziamo l'esistenza di qualcosa che ancora non c'è, un test rapido antigenico che ti dice al 90% se sei contagioso".

E il test molecolare salivare di cui parla il presidente Solinas?

"Ora ne stiamo sperimentando un tot, ma ad oggi non mi sembra una via praticabile. Forse futuribile. Ma anche così non trovo molto pratico mettere il controllo a qualsiasi frontiera. O le tieni rigorosamente chiuse o se le apri devi operare in termini di sorveglianza attiva".

Allora come possono tutelarsi le Regioni meno colpite?

"L'unico modo è attrezzarsi in modo da riconoscere eventuali focolai, rafforzare la medicina territoriale e trovare un sistema non facile di monitoraggio degli ospiti. Sapere chi arriva, dove va e cosa fa, una sorta di Grande Fratello. E' l'eterna lotta tra l'esigenza di riaprire e garantire il turismo e altre considerazioni. Può essere utile una richiesta di attenzione e collaborazione ai villeggianti".

Da cittadino milanese anche lei si sente offeso come il sindaco Sala?

"Dire i milanesi anche no mi sembra un po' sopra le righe, è una storia che si ripete. A partire anche da tempi molto remoti abbiamo avuto diversi episodi di questo genere. E' sbagliato, serve a poco dare ad altri la responsabilità che si perpetui un rischio. Se col virus ci dobbiamo convivere, invece di escludere meglio includere in sicurezza potenziando la medicina di territorio".

Cosa non ha funzionato in Lombardia?

"Qui c'è stata un'epidemia enorme, maggiore rispetto alle altre e non paragonabile ad esempio con quella veneta. Quando abbiamo preso coscienza dell'entità del problema eravamo già in un disastro totale. Tra Veneto e Lombardia c'è una sfasatura di due settimane o più che ha fatto la differenza. In Veneto sono stati molto bravi a mettere in atto una serie di provvedimenti che in Lombardia non era possibile mettere in atto perché il territorio è stato travolto da una enorme quantità di casi gravi".

E il governo? Come si è comportato?

"Non mi faccia fare politica... Si è cercato di rispondere in tempi e modi congrui per la realtà politica di un Paese come il nostro. Su alcune cose poteva fare prima, altre le ha fatte prima e meglio di altri".

Per esempio?

"E' stato sommerso di critiche quando ha chiuso gli accessi dalla Cina, ma aveva fatto bene e meglio di altri Paesi. Poi il virus ci è arrivato alle spalle dalla Germania, senza voler per questo accusare i tedeschi. Invece non sono mai stato d'accordo sulla politica di restrizione diagnostica. All'inizio poteva essere comprensibile, ma poi è proseguita a tutti i livelli. Bisognava testare di più. E mostrare maggior partecipazione ai problemi delle persone coinvolte e rimaste chiuse in casa. In molti sono in attesa di risposte per sapere cosa è capitato loro, se possono andare a visitare gli anziani genitori, se possono tornare al lavoro senza essere pericolosi per sé stessi e per gli altri".

Il virus è cambiato? Si è indebolito?

"Non ci sono gli elementi per dirlo. Nell'85% dei casi le persone restano a casa loro, con sintomi lievi o in molti casi asintomatiche. Chi ha la malattia grave sono soprattutto anziani con co-morbosità e fattori di rischio. L'andamento è condizionato dall'ospite e non dalle caratteristiche genetiche del virus".

Alcuni lo sostengono perché sono sempre meno i malati meno gravi.

"Stiamo assistendo alla coda dell'epidemia, che ora si sta diluendo dopo i casi più gravi. E abbiamo imparato a curarli meglio. Detto ciò in un'attenuazione del virus si può sperare, ma dirlo ora è azzardato".

Passeremo un'estate tranquilla?

"Difficile dirlo ora, tanto ancora dobbiamo conoscere di questo virus. Credo che a metà giugno capiremo se questa prima grande 'botta' è stata sufficiente, se quello che abbiamo fatto per fermarla può bastare".
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