Pochi tamponi, almeno nella fase iniziale, la mancanza di protezioni nelle case di riposo.

E non solo. La Federazione regionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fromceo) invia un durissimo documento ai vertici della sanità lombarda ed elenca "almeno" sette errori nella gestione dell'emergenza coronavirus in regione che hanno causato la catastrofe (più di 51mila contagi e di 9mila morti nel bollettino del 6 aprile).

Sotto accusa una "evidente assenza di strategie relative alla gestione del territorio" e "l'interpretazione della situazione solo nel senso di un'emergenza delle terapie intensive, quando in realtà si trattava di un'emergena di sanità pubblica, in un contesto in cui quest'ultima e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra regione", sostengono i firmatari.

Viene riconosciuto "un ottimo intervento sul potenziamento delle terapie intensive e semi intensive, peraltro in larga misura reso possibile dall'impegno e dal sacrificio dei medici e degli altri professionisti sanitari", poi l'elenco delle sette criticità, "non esaustivo", precisano, come a sottolineare che ce ne siano state delle altre.

- La mancanza di dati sull'esatta diffusione dell'epidemia, "legata all'esecuzione di tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale". "I dati - affermano i medici lombardi - sono stati presentati come numero degli infetti e numero dei deceduti, e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti ricoverati, mentre il mondo si chiede le ragioni dell'alta mortalità in zona senza rendersi conto che si tratta solo dell'errata impostazione della raccolta dati, che sottostima sia il numero dei malati che quello dei deceduti, il primo enormemente".

- L'incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio, qui si parla della Bergamasca non resa zona rossa dopo l'esplosione del focolaio, responsabilità che può essere attribuita in parte alla Regione e in parte al governo.

- Gestione confusa della realtà delle Rsa e dei centri diurni per anziani, "che ha prodotto una diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite umane: nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6mila ospiti in un mese"

- La mancata fornitura di protezioni ai medici del territorio, il riferimento è ai medici di medicina generale, i pediatri e i medici delle Rsa, e al restante personale sanitario. "Questo - si legge - ha determinato la morte di numerosi colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell'epidemia".

- La pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica, con riferimento non al lavaggio mani ma "agli isolamenti dei contatti, ai tamponi sul territorio a malati e ai loro contatti". In sostanza, si è puntato solo sugli ospedali, e poco sull'assistenza sul territorio e sulla mappatura dei malati anche a domicilio.

- Niente tamponi agli operatori sanitari, "sia nel territorio che in alcune realtà delle strutture ospedaliere pubbliche e private, con ulteriore rischio di diffusione del contagio".

- Mancato governo del territorio, "che ha determinato la saturazione dei posti letto ospedalieri con la necessità di trattenere sul territorio pazienti che, in altre circostanze, avrebbero dovuto essere messi in sicurezza mediante ricovero.

Secondo i firmatari, "la presa d'atto degli errori occorsi nella prima fase dell'epidemia può risultare utile alle autorità competenti per un aggiustamento dell'impostazione strategica, essenziale per affrontare le prossime e impegnative fasi".

(Unioneonline/L)
© Riproduzione riservata