Èuna questione di numeri: sin dall'inizio dell'emergenza coronavirus somme e percentuali sono state sempre al centro dell'attenzione. Prima i contagi cinesi, coi morti di Wuhan, poi la devastazione in Lombardia e l'attesa inquieta nel resto d'Italia. Nel frattempo sono comparsi casi positivi in tutto il mondo, hanno preso forma le differenze tra un Paese e l'altro. La crescita impetuosa negli Stati Uniti e in Spagna, la frenata nell'est asiatico (non solo Cina, ma anche Corea e Giappone), il caso Iran, la comparsa del virus in Africa. La bassa mortalità in Germania, l'ascesa lenta in Francia.

LE GRANDI DIFFERENZE Sempre numeri, il virus che ha stravolto la vita del pianeta si porta dietro codici che nascondono tante verità. Come le grandi differenze in Val Padana, ormai sotto gli occhi di tutti. In Lombardia le cifre sono spietate: la percentuale dei morti rispetto ai casi positivi registrati viaggia sul 15 per cento, una quota che non esiste da nessuna parte del mondo. Numeri impensabili soprattutto in Veneto, la regione che ha visto nascere l'emergenza virus negli stessi giorni della Lombardia. Sono meno i contagi ma soprattutto è molto più basso il rapporto positivi-vittime. La regione del nordest mostra risultati totalmente diversi anche rispetto al Piemonte, che ha più o meno lo stesso numero di persone infettate. I morti crescono a velocità dimezzata, mentre a Torino e dintorni la letalità del coronavirus mostra dati assai più alti. Anche l'Emilia (con l'eccezione della provincia di Ferrara) si tiene più vicina ai livelli della Lombardia che a quelli del Veneto.

IL CASO VENETO Si cerca la spiegazione di queste differenze ancora una volta nei numeri. Cosa caratterizza il Veneto rispetto alle altre regioni del nord? L'utilizzo massiccio di tamponi ma soprattutto il ricorso agli ospedali molto più basso: a parità di casi positivi, si fa prevalere l'isolamento domiciliare. Basta scorrere i dati diffusi ogni pomeriggio dalla Protezione civile per notare le discrepanze. Si punta sul ricovero soltanto se c'è effettiva necessità, a differenza di quanto è avvenuto e avviene in Lombardia, dove è stato massiccio il trasferimento dei pazienti in ospedale o in strutture sanitarie private. Ancora non c'è una conferma scientifica, ma gli esperti cominciano a prendere in considerazione che la carica virale all'interno degli ospedali sia superiore, probabilmente per la stretta vicinanza dei pazienti positivi, per la presenza stessa di tanti contagiati o a causa degli ambienti chiusi. Per i pazienti più anziani può essere decisivo anche l'aspetto psicologico: il passaggio da casa all'ospedale, in condizioni di forte stress e in totale solitudine, può avere effetti devastanti quanto la malattia.

IL VIRUS DEGLI OSPEDALI Dalle colonne del Corriere della Sera Giorgio Palù, docente di neuroscienze a Philadelphia e consulente in Veneto, chiarisce: "In Lombardia hanno ricoverato tutti, esaurendo in fretta i posti letto. In Veneto, invece, i medici di base e i servizi d'igiene delle Asl hanno fatto filtro". I positivi con pochi sintomi sono rimasti a casa, così si è evitato l'affollamento degli ospedali e la diffusione del contagio». Non manca il riferimento alla Sars, altro micidiale coronavirus: "È stato un virus nosocomiale, così come la pandemia Covid-19. A diffusione ospedaliera".

GLI SCENARI IN SARDEGNA La strategia del Veneto potrebbe diventare decisiva anche in Sardegna, dove la copertura di posti in ospedale (e in particolare in terapia intensiva) è limitata e, in caso di moltiplicazione dei contagi, si rischierebbe il collasso del sistema. Finora l'opzione - più casuale che pianificata - dell'isolamento domiciliare è prevalente nella gestione dei pazienti positivi ed è accompagnata da una crescita senza troppe impennate del virus nell'Isola. Se davvero la moltiplicazione dei contagi trova terreno fertile negli ospedali, l'isolamento a casa di chi è colpito dalla malattia può diventare vincente come in Veneto.

I NUMERI DI SASSARI Ci sono però da fare i conti con la pericolosa anomalia della provincia di Sassari, che fa registrare due terzi dei contagi della Sardegna. Nelle strutture ospedaliere del capoluogo (ma in parte anche ad Alghero e Olbia) sono stati compiuti passi falsi che hanno provocato la diffusione del contagio nelle comunità sanitarie. Senza questa (ingombrante) eccezione, la Sardegna potrebbe guardare con ottimismo alla lotta contro il virus, facendo prevalere la logica dell'isolamento domiciliare.

GIORNI DECISIVI Per ora si cammina su questa strada, il ricovero in ospedale resta l'eccezione, a giudicare dalle percentuali: meno del 20 per cento dei pazienti positivi nell'Isola viene trasferito nelle strutture sanitarie. Non manca l'ipotesi più suggestiva, che però convince poco la comunità scientifica: il virus è meno aggressivo da queste parti? Di certo c'è che la cura a casa dei pazienti con sintomi lievi limita l'affollamento negli ospedali, scongiurando il rischio di corto circuito del sistema. Soltanto nei prossimi giorni si capirà se questa tendenza potrà essere mantenuta, con la malattia gestita più a domicilio che sotto controllo ospedaliero. Di sicuro è fondamentale che i contagi non dilaghino, la speranza è che nei conti di aprile - si torna sempre ai numeri - siano decisive le restrizioni imposte da Governo e Regione, compresa la chiusura di porti e aeroporti. La battaglia contro il virus si può vincere.
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