La cronaca nera italiana è piena di cicatrici indelebili che difficilmente si rimargineranno, soprattutto nel cuore dei familiari che ancora oggi piangono i propri cari. I delitti della Uno Bianca rappresentano un esempio di questi. Oggi, a distanza di tanti anni, si continua a parlare di questa terribile storia italiana alla luce di alcune novità che hanno profondamente scosso l’opinione pubblica.

Alberto Savi, fratello di Roberto e Fabio, ex poliziotto condannato all’ergastolo per aver cagionato la morte di 24 persone e il ferimento di oltre 100, tra il 1987 e l’autunno del 1994, ha potuto usufruire di un permesso premio durante le vacanze di Natale, trascorrendo le festività con la sua famiglia. Non è la prima volta che Alberto Savi usufruisce di un beneficio, aveva già ottenuto un permesso di tre giorni e mezzo nell’aprile 2018, per le festività pasquali e prima ancora nel 2017 quando gli era stata concessa la possibilità di trascorrere dodici ore in una comunità protetta. La notizia dell’ultimo permesso premio ad Alberto Savi è arrivata proprio il 4 gennaio, giorno in cui a Bologna è stata ricorda la Strage del Pilastro. Non sono mancate le polemiche, soprattutto da parte dei familiari delle vittime che continuano a manifestare il proprio dissenso in merito a questa scelta, e che hanno trascorso un altro Natali nel dolore di non c’è più, strappato alla vita ingiustamente e per mano di killer che non riusciranno mai a perdonare. I familiare non si arrendono, chiedono giustizia e sono determinati alla riapertura delle indagini. Hanno urlato a gran voce che si opporranno a sconti di pena per coloro che si sono macchiati di questi crimini efferati e vogliono a tutti costi che sia fatta massima chiarezza sulle tante ombre che ci sono in questa vicenda. Fabio Savi, intanto, resta detenuto nel carcere di Bollate dove sta scontando l’ergastolo per gli omicidi commessi. Roberto Savi, invece, l’ex poliziotto, fratello maggiore e leader della Banda ha presentato istanza di grazia al Presidente della Repubblica, chiedendo di poter commutare la sua condanna all’ergastolo.

La Uno bianca utilizzata dai fratelli savio per i loro delitti (archivio L'Unione Sarda)
La Uno bianca utilizzata dai fratelli savio per i loro delitti (archivio L'Unione Sarda)
La Uno bianca utilizzata dai fratelli savio per i loro delitti (archivio L'Unione Sarda)

Anche nel 2005 aveva chiesto la grazia al Presidente della Repubblica, tornando sui propri passi nove mesi dopo. La richiesta sarebbe stata avanzata nel 2017 e la Questura di Bologna avrebbe dato parere negativo. La Procura Generale di Bologna, a metà del 2018, avrebbe dato lo stesso parere all’ufficio di Sorveglianza di Milano, non riscontrando elementi concreti. Non è dato sapere se tale iter sia concluso o ancora in pendenza. Marino Occhipinti, ex poliziotto che faceva parte del commando armato, è un uomo libero. Era stato condannato all’ergastolo nel 1997 per l’omicidio di Carlo Beccari, guardia giurata uccisa nel 1988 durante l’assalto armato alla COOP di Casalecchio di Reno, nel Bolognese. Oggi ha 53 anni e dal 2012 godeva della semilibertà. Secondo il Tribunale di sorveglianza di Venezia che ha notificato il provvedimento che gli consente di uscire dalla reclusione, il suo pentimento “non è socialmente pericoloso”, il suo pentimento è “autentico” e “ha rivisitato in modo critico il suo passato”. Il 4 gennaio del 1991, alle ore 22:00, la Banda della Uno Bianca si trovava per puro caso nel quartiere Pilastro di Bologna. Quella sera il commando armato non aveva intenzione a compiere nessun colpo in quel rione periferico di Bologna perché erano diretti a San Lazzaro di Sevena, per rubare delle auto. Improvvisamente qualcosa và storto. Improvvisamente arriva una telefonata di emergenza alla centrale operativa dei carabinieri: “Dirigetevi in via Casini. C’è uno dei nostri steso a terra”. I soccorritori arrivano sul posto e trovano i corpi crivellati di proiettili dei carabinieri Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini. In Via Casini, all’altezza delle Torri, l’autovettura dei carabinieri aveva sorpassato la Uno Bianca della Banda. Un gesto che non viene ben gradito dai fratelli Savi che, insospettiti da quel sorpasso, pensando potesse essere un preteso da parte dei carabinieri per prendere il loro numero di targa, decidono di eliminarli. La Banda della Uno Bianca si affianca all’autovettura dei carabinieri e Roberto Savi inizia a sparare sul lato del conducente, colpendo Otello Stefanini. Il carabiniere, malgrado le ferite, tenta la fuga la sbatte contro alcuni cassonetti della spazzatura. I fratelli Savi raggiungono subito l’autovettura dei carabinieri e iniziano a sparare e inizia uno scontro a fuoco tra la Banda e gli altri carabinieri: Andrea Moneta e Mauro Mitilini.

La banda uccide i carabinieri perché in possesso di armi più potenti. Roberto Savi rimane ferito durante lo scontro a fuoco. Prima di andare via, però, i fratelli Savi sottraggono l’ordine di servizio che quella sera avevano stilato i carabinieri. A volte in queste persone si accende il fuoco, che le porta poi a sopportare ogni tipo di fatica per andare avanti e cercare la verità. Altre volte no. Quindi la giustizia si, è una parola che viene usata, dalla quale ci riempiamo la parola tutti ma ci dobbiamo sempre ricordare che i risultati ottenuti dipendono sempre dalla fatica, dall’impegno e dalla motivazione di chi indaga. Nel caso di specie le indagini, e comunque tutto questo caso, originariamente vedono una sorta di arresto perché sembra quasi che la burocrazia mangi se stessa; vengono creati dei pool per cercare e poi alla fine si sbaglia. E’ solo con l’accensione di questo fuoco in capo a pochi che si arriva poi alla soluzione. Tra l’altro, in molti, continuano a pensare, qui a Bologna, che di vera e propria soluzione poi, a 360°, non si possa parlare, che queste persone potessero avere tranquillamente dei complici che non sono mai stati trovati. Questo è diciamo il sentire comune che anima un po’ chi ha realmente partecipato ai fatti dell’epoca, che è stata una verità soltanto a metà. Mancano ancora dei pezzi e chissà quando mai arriveranno questi pezzi da inserire in questo immenso puzzle. Oggi come oggi è veramente una storia che sembra quasi accaduta ieri. È un po’ come la bomba alla stazione di Bologna, anche perché poi Bologna è un paesotto, ha le prerogative della grande città ma rimane sempre paesotto, rimane sempre non estesissimo come una grande città per cui esiste ancora una memoria storica di questi fatti e ogni volta che li senti raccontare, c’è sempre il medesimo pathos” ; è quanto ci ha riferito Barbara Iannuccelli, avvocato rinomato che segue casi di cronaca nazionale come Carabello', Domenico d'Amato, Giovanni Ghinelli, Nicola Menetti e che, come tutti i cittadini di Bologna, non ha mai dimenticato questa vicenda.

Angelo Barraco
© Riproduzione riservata