La rivolta dei minatori di Carbonia dopo l'attentato a Togliatti
In un libro di Alberto Vacca il resoconto storicoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
"Subito dopo l'attentato a Togliatti avvenuto verso le 11:30 del 14 luglio 1948 ad opera del giovane studente Antonio Pallante, l'organo di stampa del Partito comunista italiano, l'Unità, ne dà l'annuncio con due edizioni straordinarie pomeridiane... Nell'immediatezza del fatto la responsabilità dell'attentato è attribuita dai dirigenti comunisti al Governo, accusato di essere composto da assassini e di fomentare la guerra civile. A Carbonia, come altrove, la notizia dell'attentato a Togliatti, diramata dalla radio alle ore 13.00, si diffonde immediatamente. Nel pomeriggio, la locale Camera del Lavoro proclama lo sciopero generale, ottenendo l'immediata adesione dei minatori delle miniere carbonifere, di cui 2.000 sono già in sciopero dalle sei 7.00 contro la società carbonifera in segno di protesta per la corresponsione parziale da parte della stessa per deficienza di fondi".
Sono alcuni dei primi passi del libro che Alberto Vacca, insegnante in pensione, che insegnato in vari licei italiani e in un liceo internazionale di Parigi, ha pubblicato nelle scorse settimane: si intitola "Le proteste dei minatori di Carbonia contro l'attentato a Palmiro Togliatti" (Giampaolo Cirronis editore) ed è un interessante resoconto storico al quale sono allegati molti documenti e una raccolta di articoli dei giornali dell'epoca, molti anche de L'Unione Sarda, pubblicati all'epoca dei fatti.
Siamo nel 1948 un anno fondamentale sia nella storia italiana sia in quella internazionale. Carbonia all'epoca era una città giovanissima, era stata fondata solo dieci anni prima, nel 1938, da Benito Mussolini quando il sogno autarchico sembrava possibile. Ma 10 anni più tardi, dopo la caduta del regime fascista, il clima che si respirava nella città del carbone era totalmente cambiato. Il '48 è l'anno in cui hanno inizio il periodo della guerra fredda e l'era Democristiana dopo la sconfitta dei comunisti e dei socialisti nelle elezioni del 18 aprile.
Il clima era tesissimo e l'attentato a Palmiro Togliatti non fece altro che aggravare la situazione. Alberto Vacca è riuscito a raccogliere moltissimi documenti dopo lunghe ricerche negli archivi storici e ha pian piano ricostruito quel momento in cui la storia d'Italia si incrociò con quello delle proteste dei minatori della più giovane città d'Italia, durante le quali ci furono grandi disordini poi duramente repressi dalle forze dell'ordine.
Si parte appunto dagli incidenti che si verificarono il giorno successivo all'attentato, sia a Carbonia sia in una delle principali frazioni della città mineraria, Bacu Abis. Era il 15 luglio e la Camera del lavoro aveva indetto un comizio non autorizzato in piazza Roma ai piedi della torre Littoria, oggi torre Civica. Parteciparono circa 4.000 persone, in testa il sindaco comunista Renato Mistroni e poi il segretario della Camera del lavoro Antonio Selliti e il segretario della Camera del lavoro per il Partito sardo d'azione socialista Silvio Lecca. L'idea ribadita alla gigantesca folla con toni durissimi, era quella che il Governo avesse la responsabilità dell'attentato da cui la grande voglia di vendetta. Forte l'attacco verbale contro l'MSI e contro le Acli che Mistroni definì organizzazioni sabotatrici dell'unità nazionale. Toni violenti anche da Selliti e Lecca. Inneggiando alla vendetta si formò un corteo di circa 2000 persone che sfilò in via Gramsci, diretto verso la sede della Dc. Gli articoli raccolti da Alberto Vacca raccontano che un piccolo esercito di 50 allievi carabinieri fece desistere il corteo dall'idea di attaccare alla sede democristiana. Dunque i manifestanti si diressero nella sede del Movimento sociale Italiano e verso il magazzino del commerciante Flavio Multineddu. Erano armati di ordigni di ferro e pali di legno con i quali danneggiarono le saracinesche e le porte della sede del partito e del magazzino. I locali vennero saccheggiati e fu portata via merce del valore di circa un milione di lire. La successiva tappa fu la sede delle Acli e dell'Azione cattolica: altri danni, altro saccheggio nonostante il tentativo di Don Nazareno Mocellin di proteggere la sede. Vacca racconta che "fu fatto ruzzolare per terra e minacciato di morte".
L'obiettivo successivo era la sede centrale del MSI in Corso Iglesias ma le forze dell'ordine e riuscirono a proteggerla. Mentre i manifestanti venivano accerchiati dai reparti armati, parti l'ordine, dalla vicina sezione del Partito comunista, di riunirsi presso la Camera del lavoro di via Nuoro. Selliti esortò gli uomini a combattere, anche a costo di rispondere alle armi con le armi.