La morte del dottor Spissu apre il tema della sicurezza delle sale operatorie, dove spesso si interviene in emergenza, con la vita dei pazienti in pericolo. La situazione nel Blocco operatorio del Santissima Annunziata di Sassari getta una luce sinistra sulla gestione dei percorsi di sicurezza che dovrebbero evitare qualsiasi condivisione degli ambienti frequentati da pazienti Covid negativi e positivi. Vediamo.

Lavori in corso

Il Blocco operatorio, al quarto piano dell'ospedale, da circa due anni è interessato da lavori di ristrutturazione, mai finiti perché nel frattempo l'impresa è fallita. Delle otto sale operatorie, sono disponibili soltanto tre, di cui una è stata adibita dalla direzione sanitaria a pazienti Covid positivi. Gli spazi sono angusti e, soprattutto, la dislocazione ha una falla: gli ascensori. Scoppiata l'emergenza, è stato attivato un secondo ascensore, fermo da tempo, proprio per essere destinato al trasporto dei contagiati. Il problema è che l'uscita dell'ascensore è nello stesso pianerottolo di quello dei pazienti Covid negativi. Insomma, non c'è la divisione dei percorsi prevista dal protocollo di sicurezza.

L'errore

La questione dei percorsi è stata denunciata più volte dal personale sanitario. L'errata gestione dei percorsi del Pronto soccorso del Santissima Annunziata (oggetto dell'inchiesta della Procura della Repubblica) è all'origine della contaminazione dell'ospedale che, nelle intenzioni, doveva restare "pulito", dirottando i casi sospetti di Covid nella Clinica di Malattie infettive, in un altro stabile, sempre di pertinenza dell'Azienda ospedaliero-universitaria. Niente di tutto questo è avvenuto.

Improvvisazione

Il Blocco operatorio è in una situazione di precarietà. I percorsi si intrecciano, il personale non dispone di uno spogliatoio e utilizza un corridoio nei pressi della sala 8, una di quelle inattive. La vestizione e la svestizione in caso di trattamento di un paziente Covid avvengono in ambienti non idonei. Problemi anche per i servizi igienici: il personale deve ricorrere a quelli del quinto o del settimo piano o di quelli di un'ala del quarto piano molto distante dalle sale operatorie.

Il terzo piano

Si sarebbe potuto evitare tutto ciò? Sì, se fosse stata destinata ai pazienti Covid positivi la sala operatoria del terzo piano, quella di Neurochirurgia, attrezzata di tutto, schermata per l'eventuale utilizzo di strumenti radiologici, dotata di spogliatoi, servizi igienici e percorsi separati per i pazienti Covid. Gli interventi di neurochirurgia si sarebbero potuti eseguire al quarto piano in una delle tre sale a disposizione dei pazienti Covid negativi.

Gli altri nodi

Resta poi una serie di piccoli-grandi problemi. Spesso gli interventi vengono eseguiti prima che arrivino i risultati dei tamponi (per ritardi del laboratorio? Per la "fretta" non necessaria di qualche chirurgo?), con conseguenze immaginabili in caso di positività a posteriori. L'addestramento su come indossare e togliere le protezioni (operazione delicata) è stato approssimativo: non tutti hanno seguito i corsi, durati un paio d'ore e, nel caso del Pronto soccorso, "zona rossa" per eccellenza, tenuti da un direttore di anestesia e un medico che mai prima si era occupato di tale materia.

Gli infermieri

Lunedì il Nursing Up, il sindacato degli infermieri, ha chiesto all'assessore regionale, Mario Nieddu, «una nuova valutazione dei rischi, l'attivazione di nuove procedure da applicare con il massimo rigore in modo uniforme in tutte le realtà sarde, l'attivazione urgente di percorsi formativi». Questa richiesta arriva a un mese e mezzo dall'inizio dell'epidemia nell'Isola. Una cartina al tornasole dell'approssimazione con cui è stato affrontato sinora il Covid. A Sassari, soprattutto. A scapito di pazienti e di migliaia di medici e infermieri.

Ivan Paone

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LA MORTE DEL CHIRURGO
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