Il pizzino è la prova regina. Il Porto Canale di Cagliari doveva naufragare nel più breve tempo possibile nelle secche dello scontro titanico sul traffico merci nel Mediterraneo. Il piano era chiaro: chiudere lo scalo sardo senza appello. Farlo saltare per aria, dai flussi commerciali alla gestione, con un piano segreto studiato a tavolino tra pochi eletti. Obiettivo messo nero su bianco e scritto a mano: suicidio assistito e programmato per evitare che chiunque potesse rilevarlo e metterlo in competizione con gli altri porti della contesa mondiale. Date inequivocabili, scandite con una sequenza da caterpillar, atti alla luce del sole e altri sottobanco, fughe e promozioni, soci nuovi e vecchie conoscenze. La disfida internazionale per il controllo del trasporto merci nel Mediterraneo si è giocata su più tavoli ma quello del consiglio di amministrazione della Contship, la società tedesca concessionaria del porto industriale alle porte di Macchiareddu, è quello più importante. Qui, nel consesso societario guidato da Cecilia Battistello, coniugata Eckelmann, il padre padrone dei porti di mezza Europa, si decide di tutto e di più. Come capita nelle più rinomate accademie del doppio pensiero, uno vero e uno finto, nella carta ci sono due verbali: uno ufficiale e uno da tenere segreto.

Il doppio verbale

Il primo, quello formale, non conta niente, quello blindato, dalla formula esplicita del "non verbalizzare", invece, decide tutto. Una sequela di cinque punti vergati a mano. Scrittura decisa e consapevole, autorevole e dominus del conciliabolo, certamente quella di un vertice assoluto della Contship. La società tedesca non ha proferito verbo e anche l'autore del pizzino si è guardato bene dall'alzare la mano. Nessuno ha pronunciato la frase fatidica: l'ho scritto io. Nessuno. Tutti sanno che quel foglietto fitto fitto di chiodi da martellare a colpi di scure doveva restare blindato nella casa tedesca. Non è andata così. Il testo originale del pizzino, che riproduciamo, è la prova provata di quel piano. Un documento che inchioda. Ci sono date e nomi, azioni da compiere e incarichi da adempiere. La data è quella del sette agosto del 2018. Nell'austera sede a nord dell'Italia, a due passi da piazza della Borsa a Milano, i signori della Contship, non si sono riuniti per un ordinario consiglio di amministrazione. All'ombra del Duomo è convocata una vera e propria tavola rotonda. A capo dell'operazione c'è la donna forte del gruppo: Cecilia Battistello, scaltra e altezzosa, furba e tedesca nell'animo, madre e padrona, pronta a zittire senza troppi convenevoli l'amato congiunto che nella società, da sempre, mette soldi e mezzi. Lei la linea non la detta, la impone. C'è da liquidare la Cict, la Cagliari International Container Terminal, la storica società che da sempre, o quasi, controlla il Porto Canale sardo. Decisione senza appello.

Top secret

C'è un piccolo dettaglio, però. La liquidazione si deve decidere, non si deve verbalizzare e nessuno lo deve sapere. Anzi, il segreto deve essere un giuramento solenne tra i convenuti. Ai potenziali interlocutori interessati al subentro nella concessione portuale, come la Dp World, colosso mondiale del transhipment, bisogna rispondere che la Contship ha grandi progetti per Cagliari. Alle istituzioni che chiedono conto del tracollo dei traffici sul porto di Giorgino, rispondono con toni rassicuranti: la fase del rilancio è vicina.

Promesse da marinaio

Parole al vento, promesse da marinaio. Ci credono gli allocchi e coloro che fanno finta di crederci, complici silenti dell'operazione sotterranea pianificata nello scenario internazionale del transhipment. Come capita spesso quando si parla di Sardegna le decisioni più funeste si assumono ad agosto, quando gli unici porti che brulicano sono quelli degli yacht. I punti da tenere sottobanco, vietati all'esterno, sono scanditi come un cerimoniale da funerale premeditato. Il consiglio di amministrazione della Cict, fuori verbale, decide come primo punto: «Mantenimento della situazione attuale fino al 30 ottobre del 2018». Ovvero morte cerebrale, zero navi o qualcuna sporadica giusto per lo stretto necessario, scali tecnici per qualche container regionale. E non è un caso che il secondo punto sia tutto dedicato alla Irtec, la società privatissima a cui venivano affidate alcune operazioni portuali. Per loro un aumento di 2 euro a container scaricato o caricato. Con una postilla che toglie alla società portuale, la Irtec appunto, nel pieno controllo di un consigliere regionale, Franco Stara, l'esclusività su certe manovre di carico e scarico in banchina. A suggerirla, come si legge nel verbale parallelo, è il vicepresidente della società, l'immarcescibile Oscar Serci, una sorta di eminenza grigia della tavola rotonda.

Il punto cruciale

È il terzo punto quello che, però, più di tutti, fa drizzare i capelli. Recita la sentenza: «Sviluppare, nel massimo riserbo, il piano per la messa in liquidazione della società». Una decisione che sconfessa attendismi vari, piani di rilancio sempre annunciati ma mai compiuti, investimenti sempre prossimi ma mai partiti. Il pizzino è esplicito: «non in verbale» e «massimo riserbo». Due clausole che lasciano comprendere la strategia della società, impedire che chiunque accampi la sola ipotesi di subentro nel capitale azionario. La prassi consolidata nel sistema delle concessioni è, infatti, quello dell'acquisizione delle quote della società che gestisce il porto. Per questo motivo Contship vuole eliminare alla radice ogni marginale possibilità che qualche player mondiale si affacci sulla scena del Mediterraneo attraverso il porto di Cagliari.

Senza ritorno

La liquidazione della società significa, infatti, impedire a chiunque di subentrare alla concessione per gli ulteriori sette anni di vita della stessa concessione, la cui scadenza era fissata per il 2027. Liquidare la società, però, significava anche l'automatica revoca della concessione, giusto per rendere biblici i tempi necessari ad individuare un nuovo concessionario.

Il pizzino

La pubblicazione da parte del nostro giornale del pizzino non verbalizzato, la cui perizia calligrafica potrebbe svelare sorprese non di poco conto, ha aperto uno squarcio imponente sul cuore del problema: chi ha giocato e gioca sullo scacchiere del mare per tenere fuori gioco il porto di Cagliari? Ci limitiamo a scandire date e fatti accaduti dopo quel fatidico convivio liquidatorio e segreto del sette agosto del 2018. La sequenza dei documenti mette in fila atti e decisioni, un filo rosso che porta dritti al naufragio. La decisione sullo showdown per il Porto terminal di Cagliari Spa resta segreta.

Atti e fatti

La macchina della liquidazione, però, è in moto. Il Consorzio industriale di Cagliari, che della società di gestione del porto era uno dei due soci con l'otto per cento, non ne sa niente. Almeno ufficialmente. Nel verbale del consiglio di amministrazione del 18 dicembre del 2018, dove si esamina lo stato di salute delle società partecipate, il Consorzio si limita a scrivere «che la Cict rispetta tutti i parametri previsti dalla normativa, anche per la chiusura in attivo degli ultimi 3 esercizi (2015/2017)». Nel verbale ufficiale del vertice si legge. «La società (la Cict) tuttavia ha comunicato una previsione di perdita per l'esercizio 2018 superiore ai tre milioni di euro». Nonostante dicembre sia più che inoltrato e il bilancio del 2018 del porto sia chiaramente in perdita secca, il Consorzio fa finta di niente e rinvia ogni decisione: «Se tali previsioni dovessero essere confermate il Consorzio effettuerà le opportune e conseguenti valutazioni in ordine ad una eventuale ricapitalizzazione o svalutazione della partecipazione in occasione della prossima delibera di razionalizzazione». Come dire, la casa sta bruciando, ma per il momento non facciamo niente. La catena degli eventi mette in pista la prematura dipartita da Cagliari di uno dei colossi del mare. È il 5 aprile del 2019, la Hapag Lloyd, uno dei colossi del transhipment, lascia la rotta di Cagliari.

Da Giorgino al Magreb

L'annuncio sembra un fulmine a ciel sereno, ma non lo è. Tutto è pianificato, visto che la Hapag Lloyd dopo qualche mese, il 2 dicembre del 2019, entrerà in società proprio con la Contship, guarda caso nel porto terminal di Tangeri in Marocco, quello gestito al 40% da mister Battistello, il marito in persona della presidente della Cict di Cagliari. Uno spostamento, senza colpo ferire, di tutti i traffici da Cagliari al porto principale della società tedesca nello stretto di Gibilterra, sul versante del Magreb. La Contship continua a raccontare che Cagliari è ferma perché c'è la crisi internazionale. In realtà la famiglia Eckelmann ha deciso: accordarsi con Hapag, con conseguente cancellazione dei traffici a Cagliari, spostandoli, di fatto, tutti in Marocco. Il Consorzio di Macchiareddu sente che il porto sta per affondare e leva l'ancora. Il 17 aprile del 2019 il Consorzio Industriale sentenzia: «Il Consorzio è un soggetto pubblico e non può utilizzare le proprie risorse per far fronte a crisi aziendali di soggetti privati, neanche con il solo fine di ripristinare la propria quota societaria anche per evitare danni economici ulteriori». Fuga veloce dalle responsabilità. Morte sia, prende atto il Consorzio.

Impronte digitali

Nel sottobosco, però, ci sono movimenti societari impercettibili. Vere e proprie impronte digitali impresse sulla fine del porto canale. È la storia di manager pubblici diventati di colpo manager privati, con compensi ed ingaggi da centinaia di migliaia di euro, deliberati poco prima della revoca della concessione del porto e della liquidazione della società. Da ieri, intanto, è iniziata l'operazione spezzatino del porto canale. Per la Grendi il comitato portuale dà il via libera ad una concessione per una banchina da 300 metri all'interno del terminal. Sul futuro dell'infrastruttura pesa come un macigno un intreccio spaventoso con tanto di eminenze grigie al cospetto di Lady Contship. Ma questo è il prossimo capitolo di questo intrigo internazionale per far naufragare il porto canale di Cagliari.

Mauro Pili
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