«In Sardegna abbiamo un gap infrastrutturale col resto della Penisola, è innegabile, ma anche tanti soldi da spendere per colmarlo. Peccato che ci sia un enorme ostacolo che ci impedisce di agire: si chiama codice degli appalti. Noi lavoriamo ogni singolo minuto per trovare soluzioni che ci consentano di sbloccare le nostre opere».

Roberto Frongia, assessore regionale ai Lavori pubblici, ha 60 anni e almeno tre grandi obiettivi: consegnare all'Isola nuove strade, una corretta gestione dell'acqua pubblica e vedere il principio di Insularità inserito nella Costituzione.

Il voto in commissione Affari costituzionali sull'Insularità è un contentino o è davvero una svolta nel percorso che avete intrapreso?

«Sono certo che sia un significativo passo avanti. Ma non ci accontentiamo e vogliamo che si arrivi a conclusione del percorso con l'inserimento del principio nella Carta costituzionale».

È uno dei rari casi in cui esponenti di partiti di tutti gli schieramenti hanno lavorato per un obiettivo comune.

«Hanno fatto tutti un ottimo lavoro: i parlamentari, i Riformatori, in primis Massimo Fantola che opera da anni dietro le quinte con grande efficacia, gli esponenti dei Comitati promotori che hanno raccolto 120mila firme, i cittadini che ci credono perché hanno capito qual è la posta in gioco».

Qual è?

«L'insularità costa ai sardi nove miliardi all'anno, una tassa di circa 5.700 euro a cittadino, neonati compresi. I cittadini sardi hanno capito che è una questione di pari opportunità con i nostri connazionali, non la richiesta di un privilegio».

Come continuerete a sostenere la vostra battaglia?

«Assieme alla professoressa Maria Antonietta Mongiu, che si sta spendendo da anni per questa battaglia, scriveremo una lettera a tutti i gruppi al Senato e chiederemo di non abbassare la guardia perché dopo questo primo riconoscimento si vada oltre».

Abbanoa ha chiuso il bilancio con un passivo di dieci milioni, è un problema?

«Sul gestore idrico abbiamo avuto le idee chiarissime da subito: c'era da invertire una rotta e il voto di astensione della Regione al bilancio 2018 è stato un segnale chiaro. I conti non quadravano e il fatto che il bilancio 2019 che era proposto in attivo di 8 milioni si sia chiuso con passivo di circa 10 milioni la dice lunga. Tra il prima e il dopo c'è una differenza di 18 milioni di euro».

Come è potuto accadere?

«Voglio essere chiaro: il servizio idrico deve essere pagato ma di fronte alla riscossione di crediti inesigibili e a un comportamento non sempre comprensibile da parte della società era necessario cambiare»

Quanto è frustrante gestire un assessorato che paga un prezzo altissimo alla burocrazia?

«Non mancano le risorse ma ciò che non funziona sono le leggi e che impediscono di accelerare le opere».

Quali?

«Il codice appalti è il vero ostacolo: parte dal presupposto che tutti siano ladri e contiene troppe norme complesse. Se il codice non fosse stato sospeso, il ponte Morandi sarebbe ancora un immenso cantiere. L'altro freno è il carico di responsabilità sui dirigenti».

Come state lavorando per rimuovere gli ostacoli che frenano i cantieri sulle strade sarde?

«Con i nostri uffici e con l'Anas abbiamo cercato il bandolo matassa e cercato di capire dove si poteva accelerare. Grazie a quei rapporti, quelle relazioni e quelle interlocuzioni siamo riusciti a sbloccare gran parte delle opere viarie sarde: dalla 195 alla Sassari-Olbia, ora la 125. Abbiamo accelerato sulla progettazione della 130 e della 131 e fatto ripartire le manutenzioni straordinarie. Abbiamo chiesto il commissariamento delle principali opere viarie non tanto in odio ad Anas ma per poter accelerare sulle opere anche considerando l'elevato grado di incidentalità sulle nostre strade».

Su questo fronte che rapporto avete con il Governo?

«Lunedì ho scritto una lettera alla ministra De Micheli e le ho ricordato che occorre accelerare su tutte le opere».

La spesa dei fondi comunitari, al di là delle percentuali illustrate dalla Regione, sconta un problema di efficacia. È d'accordo?

«Torno sul tema della burocrazia: è necessario alleggerire la responsabilità dei dirigenti pubblici che attiene al regime di responsabilità erariale per tutti i procedimenti amministrativi relativi alla conclusione e all'esecuzione di contratti pubblici. L'effetto paura per la dirigenza ha effetti catastrofici».

Com'è la macchina burocratica con cui si interfaccia tutti i giorni?

«Trovo persone preparate e disponibili in tutti gli assessorati, in primis il mio. Persone che non guardano l'orologio nonostante tanti straordinari non pagati. Ma è vero che occorre ringiovanire e riorganizzare la macchina. Purtroppo in Italia manca una scuola che formi i pubblici amministratori».

Che presidente è Solinas?

«È sempre preparato su tutto e lascia lavorare».

I rapporti in maggioranza?

«C'è una buona collaborazione e ho sempre registrato una gran voglia di confrontarsi».

Come si rapporta il suo partito, i Riformatori, con una forza di stampo populista come la Lega?

«Io ho tutt'altra formazione, visto che provengo dall'associazionismo cattolico. Ma nella Lega registro due diverse tipologie di figure: quella del leader che parla alla pancia della gente e gli altri come Giorgetti, che non è una figura secondaria e fa analisi economiche condivisibili sull'autonomia, sull'efficienza della macchina amministrativa. Con i consiglieri leghisti ho ottimi rapporti»

Sulle Province il suo partito ha fatto un passo indietro.

«Restiamo convinti che non servano ma passati dieci anni dalla nostra battaglia referendaria constatiamo che una parte importante della società che ci aveva seguito adesso sembra rivedere quelle posizioni. Per noi l'unica provincia accettabile è quella della Gallura, sul resto restiamo contrari. Ma all'interno di una maggioranza ci possono essere convincimenti diversi e la politica non può non tenerne conto».

Fabio Manca

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