«Volevo fare la pastora, volevo aprire un mio caseificio e non c'è pandemia che mi possa frenare: sono coraggiosa? Eccome se lo sono!». La storia di Mariangela Atzeni, 44 anni, originaria di Lotzorai, è un'infusione di vitalità. Il suo è un sogno divenuto quasi realtà: tra due settimane ci sarà l'inaugurazione della sua attività, ma il suo desiderio va ben oltre la mera realizzazione lavorativa: «Questo progetto mi permette di emanciparmi da una politica che paga pochi centesimi il latte e non rende dignità al lavoro dei pastori». Ma quella di Mariangela Atzeni, è una storia più lunga di così e lei non è la sola protagonista del racconto.

Le capre

Tutto ha inizio nel 2016: «Mi volevo realizzare - spiega Mariangela - avevo già lavorato in un caseificio, inoltre ho sempre amato gli animali di conseguenza l'idea di una piccola azienda agricola con trasformazione dei prodotti è venuta da se, ma non è stato immediato». Quella dell'allevamento infatti non è una "tradizione familiare", precisa l'allevatrice, che aggiunge. «Per questo ho dovuto contare sul prezioso aiuto di Andrea, mio marito, soprattutto quando si è trattato di selezionare i capi: la scelta alla fine è ricaduta sulle capre, razza malaguena».

Oggi ha sessanta capre. «Mi piacerebbe arrivare a cento: sufficienti per un piccolo caseificio».

Il lockdown

A inizio 2020 però, proprio quando il progetto stava per diventare una realtà concreta, l'avvento del coronavirus e le conseguenti misure di sicurezza hanno fortemente minato la sua realizzazione. «Ci ha messo tutti quanti in ginocchio», spiega Mariangela Atzeni, «Non potevamo più concludere i lavori del locale, avevo ordinato tutta la strumentazione ma non potevo montarla, non potevo ricevere ordini e la necessità di lavorare si è fatta sentire tanto». Nonostante il blocco però, lei ha deciso di seguire il cuore e andare avanti con positività, carica e determinazione. «Tutti mi dicono: "ma tu sei matta ad aprire adesso!" ma io procedo dritta, come un kamikaze: stiamo vivendo un periodo difficile, ma non è fermandoci o restando in ginocchio che lo supereremo».

Quote latte

«Ho scelto di fare un lavoro duro», confessa la pastora, madre inoltre di due figli. «Mi sveglio molto presto per mungere - prosegue nel racconto - poi torno a casa e ci sono i figli, le faccende domestiche, ma la fatica non ferma la mia volontà di emancipazione». Quella di scegliere di non versare il latte, è stata una decisione importante: «Vedere il frutto del mio lavoro venir pagato qualche centesimo per me era svilente», spiega Mariangela Atzeni, che aveva partecipato agli scioperi dei pastori, «ma purtroppo non abbiamo ottenuto granché, di conseguenza la decisione di riscattarmi da delle condizioni che trovo vergognose, occupandomi io della trasformazione del latte delle mie capre, era necessaria. Ancora oggi erroneamente si pensa che il lavoro duro sia automaticamente un lavoro da uomini, ma fortunatamente ho sempre più donne colleghe di lavoro, a dimostrare l'esatto contrario», aggiunge Mariangela, che conclude esprimendo un ultimo (o quasi) desiderio: «Mi piacerebbe costituire un movimento di donne allevatrici, ne verrebbe fuori un'importante rete di collaborazione e ci aiuterebbe a dimostrare e a dimostrarci quanto valiamo, da sole ma soprattutto insieme».

Lisa Ferreli

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