Col solito annuncio serale in anteprima, quasi fosse un appuntamento fisso a cadenza concordata, “Giuseppi”, lo scorso 6 aprile, ha voluto annunciare i contenuti di quello che sarà il c.d. decreto aprile, immediatamente ribattezzato, chissà poi perché, “decreto liquidità”, il quale, tenendo conto delle sole dichiarazioni ufficiali, dovrebbe contenere ulteriori strumenti di protezione sociale a sostegno di famiglie, lavoratori, bisognosi e imprese. Stando alle fin troppo ottimistiche, ma sarebbe meglio dire fantasiose, previsioni del Premier che tutto fa e nulla sembra concludere, si tratterebbe di “una potenza di fuoco”, di “un intervento … poderoso nella storia della nostra Repubblica per il finanziamento alle imprese”. Fin qui, in apparenza, nulla quaestio. Sembrerebbe tutto sotto controllo, tutto perfettamente pianificato al fine di tenere indenne il Paese e, nello specifico, i cittadini e le imprese, dai contraccolpi economici dell’emergenza sanitaria. Eppure, ho come l’impressione che, alla fine della fiera, di “poderoso” resterà unicamente il pressapochismo comunicativo mediatico che sembra contrassegnare non solo questo nuovo Medioevo della storia, ma anche questo nuovo modo di (non) vivere la Democrazia, nonchè la “potenza di fuoco” della sola raffica di provvedimenti autoreferenziali del Premier e delle susseguenti antipatiche e confuse autocertificazioni. Tanto più laddove si consideri che, a fronte di infiniti e costanti proclami, e nonostante il già più che discutibile “Decreto Cura Italia”, a tutt’oggi, malgrado il lungo tempo trascorso, le tasche degli italiani sono ancora vuote e penzolanti. Circostanza, quest’ultima, forse banale ma di non poco conto, che certamente non aiuta a rinfrancare la fiducia verso i governanti e la loro gestione dell’imprevisto pandemico. Si può allora, in questa situazione, confidare nel fatto che le nuove misure di carattere economico possano essere utili a contrastare il pericolo di un futuro incerto e di povertà incombente? Gli strumenti messi in campo sono davvero idonei ad offrire un concreto sostegno alle imprese idoneo a garantire la loro ripresa indolore allorquando arriverà il momento seppure quest’ultimo sia ancora gravemente incerto sia nel se sia nel quando? Sinceramente, e lo dico con profonda amarezza, è oltremodo lecito dubitarne, sebbene Conte si sia fatto persuaso, per dirla alla Montalbano, che “la storia” gli renderà giustizia. Intanto, perché nonostante siano stati annunciati 400 miliardi a sostegno delle piccole, medie e grandi imprese insistenti sul territorio nazionale, di cui 200 per il mercato interno e altri 200 per il mercato dell’export, tuttavia, questo ingente, e per il momento ideale perché esistente solo sulla carta, o meglio solo nelle intenzioni, ammontare di denaro è tutt’altro che liquido, prontamente fruibile e soprattutto concesso per grazia ricevuta. Quindi, perché i finanziamenti alle imprese, nella misura annunciata, saranno distribuiti, nella gran parte dei casi, non solo dietro preventiva valutazione sul merito concernente, almeno sembrerebbe, la situazione finanziaria pre-crisi anziché il presupposto pandemico, ma anche nelle forme e nei modi del prestito bancario, seppure garantito dallo Stato, anche se come non è dato sapere, in percentuale variabile, a seconda dell’ammontare del fatturato e del numero dei dipendenti, col rischio forte e più che realistico, di concedere una forma di potere soverchiante, al limite dell’arbitrio, agli istituti di credito, magari interessati a garantirsi innanzitutto, come loro solito fare, sulle già preesistenti e singole esposizioni debitorie a tutto svantaggio dei potenziali richiedenti. Inoltre, e di conseguenza, perché queste misure, erogate nelle forme del prestito bancario, sono il riflesso autentico del volto di uno Stato indebitato fino al collo, che proprio nel momento peggiore della storia della Repubblica, pretende di esporre finanziariamente, per il prossimo futuro, le proprie imprese, fiore all’occhiello dell’economia nostrana, spacciando un debito puro e semplice, per non dire direttamente un cappio alla collottola, per una boccata d’aria fresca frutto di una gentile concessione statale. Ancora, ma tanto altro ci sarebbe da dire, perché, all’evidenza, la bucolica affermazione di immediata liquidità appare piuttosto una chimera considerata, per un verso, la necessità dell’assenso da parte dell’Unione Europea in relazione ad alcune misure, e, per altro verso, considerata la altrettanto importante necessità di semplificazione dei tempi di erogazione del finanziamento laddove questa promessa di liquidità dovesse tradursi per davvero in realtà. Infine, perché il nuovo decreto, al momento non ancora pubblicato in G.U., lungi dal prevedere un annullamento, per l’anno in corso, delle tasse e dei contributi, proprio in ragione del fermo obbligatorio di tutte o quasi le attività produttive, il quale impedisce in radice la produzione di reddito, quanto meno per coloro che non possono contare sul 27 del mese, contiene solamente un nuovo periodo di proroga per i versamenti relativi, senza considerare che tra qualche mese, sarà più complicato onorare quell’impegno economico, sia a tranche, sia in un’unica soluzione. Mi domando: era troppo prevedere che almeno la più gran parte del prestito alle imprese, se non proprio tutto, venisse erogata a fondo perduto? Era troppo dichiarare la pace fiscale per l’anno 2020 in ragione della straordinarietà della situazione? Chi ci governa, ha una minima idea di quali siano le difficoltà del mondo reale, assai lontano dalla realtà ovattata e dorata che li circonda? Comunque la si voglia mettere sembra proprio che in Italia valga sempre l’antico adagio partenopeo: “scarta Fruscio e piglia Primera”, ossia, “si va di male in peggio”. E’ sempre la stessa storia, “pancia piena non crede al digiuno”.

Giuseppina di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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