Viktor Orban, primo ministro ungherese, il giorno 30 marzo ultimo scorso ha ben pensato, attraverso il voto Parlamentare, di attribuire, niente poco di meno che a se stesso, i cc.dd. “pieni poteri”, quale strategia necessaria, a suo sindacabile modo di ritenere, per contrastare al meglio e più efficacemente l’emergenza sanitaria da Covid – 19.

Nulla quaestio, se solo non fosse, che ad ogni buon conto, voto o non voto parlamentare, sul presupposto discutibile di una emergenza sanitaria purtroppo esistente, egli potrà esercitare poteri talmente estesi e di contenuto talmente intenso, nella totale assenza di limiti temporali certi (fino alla fine della pandemia), da far temere il definitivo accantonamento di ogni barlume di principio democratico a favore dell’autoritarismo puro.

Ed ancora nulla quaestio, se solo non fosse che quella che è una pagina buia, secondo il mio umile modo di pensare, della storia ungherese, ha suscitato pure l’approvazione dei sovranisti italiani, i quali, ciascuno a proprio modo, hanno ritenuto di dover giustificare e condividere la scelta di colui che viene notoriamente, e non a caso, definito quale “leader illiberale”, sostenendo, per un verso, “che ogni popolo, Parlamento e governo debba decidere in base a ciò che crede” (Salvini), e per altro verso, “che l’emergenza comporta scelte necessarie che tutti i governi, compreso il nostro, stanno prendendo” (Meloni). Affermazioni più che opportune se considerate in senso assoluto, dal momento che ogni Popolo ha diritto all’autodeterminazione sul piano governativo, ma non altrettanto condivisibili, secondo me, in senso relativo, ossia se riferite ad uno Stato parte della struttura politica europea incardinata sui principi dello Stato di Diritto. Tanto più, quando, solo qualche tempo prima, gli stessi leader sovranisti che oggi applaudono a Orban, si erano fatti leciti, e giustamente, di criticare aspramente l’operato del Premier Conte, il quale, dal canto suo, sebbene in maniera radicalmente diversa rispetto a Orban, aveva anch’egli proceduto, ed in ciò, se posso, errando, ad una gestione “in solitaria” dell’emergenza mediante una sorta di confusorio ed autoreferenziale Dpcm bombarding.

Insomma, due pesi, due misure: sembra quasi che a “incidere” sia non tanto quello che si fa, ma chi lo fa, ammesso e non concesso, appunto, che, comunque lo si voglia considerare, l’operato del nostro Premier sia davvero paragonabile, e non lo è assolutamente, a quello del primo ministro ungherese. Ciò che inquieta, è che, ancora oggi, quello dell’Uomo solo al Potere è un concetto che fa sempre gola, ed è altrettanto vero che, come diceva il Politico Italiano per eccellenza, Giulio Andreotti, “il potere logora chi non ce l’ha”. Ma anche a voler prescindere da ogni valutazione su sottigliezze argomentative che lasciano il tempo che trovano, non sarà forse superfluo interrogarsi sulle conseguenze di carattere politico di quanto accaduto in Ungheria. La strategia di Orban può essere considerata un abuso di diritto idoneo a minare l’integrità dell’Unione Europea? L’Ungheria può ancora definirsi uno stato democratico? Il PPE può accettare al suo interno un partito nazionale, quale appunto il Fidesz, che agisce disinvoltamente minando tutti i principi dello Stato di Diritto? L’Europa può tollerare una violazione così radicale dei suoi valori fondanti? La risposta a tutte queste domande, salvo considerazioni di diverso tipo, dovrebbe essere quasi scontata. Intanto, perché l’Ungheria, allo stato, stante l’evidente svolta autoritaristica degli ultimi giorni, sembra aver chiuso la porta in faccia alla Democrazia, per abbracciare a pieno quella che molti definiscono invece una sorta di “Democratura”, ossia una forma di governo piuttosto ibrida, ove i cittadini sono completamente ignari di tutto ciò che concerne il potere e le libertà civili. Quindi, perché, così facendo, l’Ungheria, e per essa il suo primo ministro, sembra aver minato profondamente, e dalla base, l’integrità stessa dell’Unione (già oltremodo messa a dura prova dalle problematiche recenti di carattere economico), giacchè, sebbene il processo di allargamento verso est della stessa venne a suo tempo salutato come il traguardo di un ambizioso processo di estensione geografica dei confini dell’intera compagine geopolitica, tuttavia, all’evidenza, quel progetto potrebbe essersi, col senno del poi, rivelato fallimentare per non essere riuscito, con la sola adesione di carattere territoriale di Stati profondamente diversi, a realizzare, non solo, una piena e convinta condivisione dei valori fondanti del complesso unionale, ma anche, ad ispirare un sincero sentimento di appartenenza sociale. Infine, perché l’esperienza ungherese, stante la mancata previsione di un preciso limite temporale alla sospensione delle garanzie costituzionali e, quindi, all’esercizio dei “pieni poteri”, potrebbe porsi come il segnale evidente di un lento, insinuante e definitivo processo di trasformazione non solo di quel sistema politico, ma anche di quello di altri Paesi posti ai confini orientali dell’UE, che la stessa Unione Europea non può concedersi il lusso di trascurare laddove sia suo interesse primario evitare contraccolpi difficilmente gestibili idonei a metterne in discussione la sua stessa sopravvivenza. Cosa resterà dell’Europa alla fine di questa emergenza sanitaria? Riusciranno a continuare a convivere le tre “anime”, quella sovranista, quella conservatrice, e quella neo-europeista, che a tutt’oggi la caratterizzano? Il Primo Ministro Ungherese si risolverà nel senso di seguire l’esortazione proveniente da parte di tredici Paesi Europei, tra cui l’Italia, consistente nel limitare le misure emergenziali e restrittive per il tempo strettamente necessario nel pieno rispetto degli obblighi internazionali?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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