Da oltre un mese la sua vita è in prima linea, a combattere una battaglia durissima. Perché lo scienziato Roberto Burioni da subito ha detto, ripetuto, confermato che il Covid-19 è un nemico terribile, insidioso, sconosciuto, da non sottovalutare, capace di seminare dolore e morte, difficile da battere. O per usare la metafora dell'Organizzazione mondiale della sanità, il coronavirus è «una minaccia peggiore del terrorismo». Medico, professore ordinario di Microbiologia e Virologia all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Roberto Burioni ha una voce che tradisce stanchezza ma è deciso a resistere: «Le conseguenze che derivano dalla capacità di un agente infettivo - virus o batterio che sia - di infettare l'uomo, possono essere inimmaginabili. Poche cose sconvolgono l'umanità quanto l'apparire improvviso di una malattia infettiva».

Con la collaborazione del professor Pier Luigi Lopalco (medico epidemiologo, professore ordinario di Igiene all'Università di Pisa), il professor Burioni ha scritto un saggio documentato e appassionante dal titolo "Virus - La grande sfida" (Rizzoli), in cui racconta le potenzialità dinamitarde dello spietato killer. E oltre a spiegare le pandemie storiche dalla peste al coronavirus, indica come «la scienza può salvare l'umanità».

In che cosa consiste l'immenso potere del virus?

«Un virus non solo è molto piccolo ma è anche qualcosa di unico, strano e intrigante dal punto di vista sia biologico che culturale. E il Covid-19 lo è in modo particolare per il fatto che si trasmette in maniera molto efficiente per via aerea, e i pazienti sono contagiosi qualche giorno prima dei sintomi della malattia. Questo facilita la vittoria del virus che consiste sempre in una parola fantastica per loro e terribile per noi: epidemia».

Professore, combattiamo una guerra durissima, eroica: quali sono le nostre probabilità di vittoria?

«L'unica forza che abbiamo è quella di sapere che il virus non si trasmette da solo: lo trasmettiamo noi con i nostri comportamenti. Quindi dobbiamo stare in casa, non uscire, e quando usciamo dobbiamo stare attentissimi, perché anche un contatto ravvicinato può trasmettere il virus. So che si tratta di grandi sacrifici, ma è necessario farli, e presto vedremo i risultati. Non abbiamo altra strada: dobbiamo dare agli ospedali il tempo di organizzarsi e alla scienza di trovare qualcosa di utile».

Che cosa ha favorito l'espandersi del contagio in tutta Italia?

«Certamente la sottovalutazione iniziale ha aiutato l'acuirsi della situazione: quelle settimane di sottovalutazione prima del 7 marzo quando ancora la gente andava alle partite, in montagna, alle feste e si ritrovava in gruppo, ha aiutato moltissimo la diffusione. Però adesso vediamo che la situazione cambia, perché stando in casa il virus rallenta la sua corsa. Non c'è altro modo in questo momento per combatterlo. Poi dobbiamo essere anche un po' ottimisti, perché come tutte le malattie respiratorie, quando arriva il caldo - non lo sappiamo con certezza - si trasmettono meno. E forse anche il Covid-19, con la bella stagione, seguirà la stessa strada. E poi dobbiamo sperare che qualche miglioramento nella terapia porti a poter affrontare meglio questa pericolosa infezione. Dobbiamo guadagnare tempo e possiamo farlo solo con il nostro comportamento, stando in casa».

Quella del coronavirus è una sfida alla nostra società tecnologica, iper meccanizzata che fino a ieri sembrava imbattibile di fronte a ogni nemico: ma siamo, nonostante tutto, così fragili ed esposti?

«Siamo esposti anche di fronte a un'eruzione vulcanica: la natura ha una forza che tendiamo a dimenticare. Non ci minacciano più i leoni e le tigri, ma possiamo incontrare un virus che ci mette in grande difficoltà. Però come abbiamo superato tante altre cose, supereremo anche questa».

Perché un piccolo virus riesce a metterci in ginocchio, a mandare all'aria tutte le conquiste fatte dall'umanità in tanti secoli?

«Perché è nuovo. Il brutto della virologia è questo: ogni tanto salta fuori qualcosa di mai visto prima come questo virus emerso qualche mese fa. Con un nuovo virus dobbiamo ripartire da zero perché non abbiamo farmaci né vaccini per contrastarlo. Ma questa volta siamo stati molto più veloci rispetto alle infezioni precedenti perché in pochissimo tempo abbiamo isolato il virus, capito come si replica e come si trasmette, siamo in grado di fare la diagnosi e capire chi è ammalato e chi non lo è. Però dobbiamo avere il tempo di affinare le armi a disposizione. Il Covid-19 è un virus molto pericoloso ma spero quanto prima si trasformi in un semplice raffreddore».

La scienza punta solo sulla ricerca per combattere questi feroci nemici del genere umano?

«Non abbiamo altre armi. L'unica cosa che ci permette di combatterli è la conoscenza, la tecnica e tutte le cose che abbiamo imparato. La replicazione virale è la conferma lampante delle teorie di Darwin. Se lui oggi fosse qui e conoscesse la virologia, trarrebbe le sue conclusioni in un pomeriggio».

L'intelligenza strategica dei virus è frutto di millenni di pandemie?

«No, perché ogni volta il virus gioca una partita nuova. E la gioca facendo dei tentativi e degli sbagli, e quando uno di questi errori gli dà un vantaggio, lo mette da parte. È come un giocatore di scacchi che fa tutte le mosse possibili, poi arriva un maestro, cioè la selezione naturale, e gli manda all'aria tutte le scacchiere dove ha fatto mosse sbagliate: è facile vincere così e replicarsi. Ma per fortuna il mondo di oggi è molto più forte, molto più organizzato, molto più pronto a combattere una battaglia, per cui spero che alla fine riusciremo a controllare questa infezione. Ce l'hanno fatta i cinesi, le vediamo in questi giorni, ce la faremo anche noi».

È possibile, in questo momento, prevedere il dopo virus?

«È una previsione impossibile da fare. Non abbiamo strumenti per fare pronostici».

Francesco Mannoni

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