Correva l'anno 2007. L'allora presidente del Consiglio Romano Prodi e il ministro algerino dell'Energia Chakib Khelil firmarono ad Alghero un patto per portare il metano in Sardegna attraverso un gasdotto che avrebbe dovuto attraversare il Mediterraneo. Si parlò di due anni per completare l'opera, annunciando in modo trionfalistico che nel 2009 i sardi avrebbero avuto il metano. Nel frattempo partirono i progetti per realizzare le reti di bacino.

Sono passati dodici anni da quella firma e dieci dal momento in cui il gas algerino sarebbe dovuto arrivare nell'Isola e oggi ancora si discute se fare o no la dorsale per il gas da un capo all'altro della Sardegna alimentando le reti locali. Nel frattempo, il mondo è cambiato. Il gas algerino non è più conveniente, oggi centinaia di navi viaggiano sui mari trasportando il metano da vendere al miglior offerente (che spesso comunque spunta prezzi molto vantaggiosi) e alimentando i depositi costieri, come quelli che stanno nascendo a Cagliari e Oristano. Il progetto Galsi, dunque, passati dieci anni, è tramontato. Oggi sarebbe antieconomico. Morale: non si può più attendere vent'anni per la realizzazione di un'opera, perché il mondo cambia molto velocemente grazie alla ricerca e alla tecnologia che esplorano strade mai percorse e assicurano nuove possibilità. Ecco perché l'Isola si ritrova oggi al 234° posto in Europa su 268 regioni. C'è stato, come si sa, un periodo in cui la Sardegna è uscita dal cosiddetto Obiettivo 1, nel quale rientrano le regioni più disagiate che necessitano dunque di maggiori fondi comunitari.

Ma c'è rientrata in fretta a causa di alcuni limiti allo sviluppo che valgono più di molte tasse: la burocrazia, la scarsa dotazione infrastrutturale, peraltro connesse tra loro, la condizione d'insularità non riconosciuta e la bassa istruzione.

Il caso del Galsi e del metano è emblematico. Se la burocrazia rallenta le opere si arriva al controsenso che quando entrano in funzione sono ormai desuete. Un rischio che corriamo anche oggi: la dorsale serve sicuramente ai sardi perché metterebbe in moto, con nuovi cantieri, anche un'economia che oggi langue, come sostengono giustamente i sindacati. Tutto questo se si farà in tempi brevi, perché se entrerà in funzione nel 2030 oppure oltre, magari la ricerca scientifica avrà già sperimentato e messo in campo nuovi sistemi energetici che renderanno il metano superato. Tanto più che anche l'elettrodotto potrebbe essere realizzato in tempi non brevissimi, costringendo l'Isola a vivere in condizioni di difficoltà. Una riflessione da fare e che peraltro in campagna elettorale è stata espressa in qualche modo anche dall'attuale governatore Christian Solinas, che nutriva dubbi sulla dorsale.

Nel calderone delle infrastrutture vanno aggiunte anche le opere che riguardano la mobilità dei sardi: porti, aeroporti, strade, ferrovie. Se per andare da Cagliari a Sassari con i mezzi pubblici ci si mette di più che ad arrivare da Milano a Londra qualche interrogativo ce lo dobbiamo porre. Tanto più che se prendiamo l'auto per andare da Alghero a Olbia rimaniamo incastrati nei cantieri stradali poco dopo Ardara. E se per le difficoltà di mobilità che esistono nell'Isola, i medici non vanno a lavorare nell'ospedale di Lanusei, qualche soluzione bisogna trovarla. Certo, i dati sanitari sono soddisfacenti, la nostra aspettativa di vita è uno dei pochi parametri positivi nella classifica della Commissione Ue, ma il fatto che l'Isola diventi una regione di pensionati, sia pur longevi, non garantisce per il futuro. Così come se gli insegnanti di sostegno, ma non solo, scarseggiano nelle scuole sarde (in alcune le lezioni sono partite tardi proprio per mancanza di docenti), il risultato è che avremo meno diplomati, meno laureati e la crescita resterà ferma. Il Crenos negli anni scorsi suggeriva di mettere in campo risorse per assumere più insegnanti. Se verrà fatto tra dieci o quindici anni insieme alla dorsale per il metano, potrebbe non essere più utile.

Giuseppe Deiana
© Riproduzione riservata