Nella prima Repubblica si è parlato spesso di Governo balneare, ad esempio per gli esecutivi guidati da Giovanni Leone e Mariano Rumor e durati dai quattro ai sei mesi dopo aver visto la luce appunto in estate. Erano governicchi senza troppe pretese in tempi in cui l'agenda politica non era dettata dall'economia globalizzata. Oggi, quell'espressione non può avere più senso.

Che si vada al voto oppure si faccia un Governo, l'esito della crisi dovrebbe essere veloce. Sono numerose le emergenze, anche lasciando da parte lo spettro dell'aumento dell'Iva.

Il punto di partenza non è soltanto il nostro Paese, che peraltro negli ultimi dieci anni ha avuto tassi di crescita negativi o, se positivi, con numeri da prefisso telefonico, ma quello che sta avvenendo a livello globale. Tira aria di recessione. Preoccupano le notizie che arrivano dalla Germania, dove si registra una contrazione del Pil. I mercati borsistici sono in fibrillazione e i tassi di interesse continuano ad andare giù. Significa che gli analisti non prevedono un'espansione economica e quindi si agisce sugli stimoli agli investimenti.

Il nostro Paese, dunque, si trova di fronte a un bivio: far nascere le riforme prospettate in parte dall'alleanza gialloverde e in parte già dai precedenti esecutivi Renzi e Gentiloni per creare uno choc nel sistema economico e rivitalizzare l'Italia, oppure navigare a vista e intervenire quando i buoi sono già scappati.

Certamente, in questo quadro, appare quanto mai necessario convogliare le risorse da destinare allo sviluppo su due strade: intanto, il taglio del cuneo fiscale (che potrebbe costare tra i 4 e i 5 miliardi di euro) per rimuovere gli ostacoli che le imprese hanno nel creare nuovo lavoro. Va bene il reddito di cittadinanza o il sostegno alle fasce disagiate, ma chi produce deve essere sostenuto. Oggi, in un mondo globalizzato, fare impresa con un costo del lavoro più basso, ma che non incida negativamente sul reddito e sulle spese dei consumatori, è una condizione imprescindibile.

In secondo luogo, serve un minore livello di tassazione per le famiglie. Salvini propone una flat tax come choc al sistema finanziario italiano. Indubbiamente, che la si chiami flat tax o riduzione delle aliquote o come vogliamo, una rivoluzione fiscale non è più rinviabile in un Paese dove la pressione fiscale supera abbondantemente il 40% e questo peso finisce per alimentare ancora una volta il nero e l'evasione.

Il fabbisogno per questa misura è forse più difficile da quantificare (e va discusso con Bruxelles), ma i risparmi che arrivano dalla minore spesa per il reddito di cittadinanza potrebbero fare al caso nostro. Lo stimolo ai consumi sarà certamente positivo.

Per non parlare poi delle altre riforme elencate anche dal premier dimissionario Conte al Senato: da una scuola migliore fino a una giustizia celere e a investimenti in innovazione e infrastrutture che garantiscano sicurezza e mobilità. Tutto questo va fatto subito, sia che si vada al voto o che ci sia un nuovo esecutivo, se si vuole anticipare la crisi economica che potrebbe investire non solo l'Europa ma anche altri Stati fuori dal Vecchio Continente.

D'altronde prevenire il male è sempre meglio che curarlo.

Giuseppe Deiana
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