I problemi del Paese sono entrati nella crisi di governo alle 15.41 di ieri, e ne sono usciti alle 15.48. Sette minuti (belli, per carità; ma un po' fugaci) nel discorso di Giuseppe Conte, dedicati alle prospettive dell'Italia e alle riforme che potrebbero garantirci un futuro. Istruzione, inclusione sociale, rilancio del Sud. E altro ancora.

Spunti interessanti, ma non se li è filati nessuno. Tutti ci siamo concentrati sulle legnate verbali del premier al suo ministro dell'Interno, e poi sulle facce di Salvini, e sulla sua replica, sull'intervento di Renzi, sui possibili scenari futuri. Tattica, nient'altro che tattica. Perché del resto questa è l'unica sostanza di cui è fatta una crisi per certi versi incomprensibile.

Se un cittadino italiano si fosse addormentato su un materassino in mare il 6 agosto e l'avessero recuperato ieri, non capirebbe nulla: gli ultimi titoli di giornale da lui letti parlavano del voto di fiducia concesso dai Cinquestelle al decreto Sicurezza voluto da Salvini. E di Conte che sposava la linea del Capitano sulla Tav. E ora invece è proprio il leader leghista a far crollare tutto. Mentre il premier lo accusa di ogni nefandezza. Soprattutto, di far saltare il governo solo per "interessi personali e di partito" e per "opportunismo politico". Cioè per capitalizzare il consenso attuale della Lega. Tattica, appunto.

Su questo probabilmente Conte ha ragione, ma non è che gli altri protagonisti siano mossi da ragioni molto diverse. Di ciò che serve davvero all'Italia non parla nessuno, com'è apparso chiaro seguendo il dibattito di ieri in Senato.

Sì, molti citano l'aumento dell'Iva. Ma è un argomento tirato di qua e di là a seconda delle convenienze. Difficile spiegare le posizioni delle varie forze politiche con ragioni diverse dall'interesse particolare. Di Salvini si è già detto. Dei 5Stelle e dei renziani è fin troppo facile pensare che l'allergia al voto anticipato derivi dal timore di essere molto ridimensionati nel nuovo Parlamento.

Lo stesso Conte, che con la sua catilinaria contro Salvini si sta guadagnando sui social un posticino tra gli idoli dell'elettorato di sinistra, presta il fianco alla critica che infatti ieri gli è stata rivolta: il leader della Lega era lo stesso anche prima di inventarsi la mozione di sfiducia, ma ci ha governato per 14 mesi. E pure il ragionamento di alcuni dei sostenitori del patto di legislatura ("perché se no Salvini si rafforza troppo") sembra guerriglia a breve termine più che avveduta strategia.

Non che tutto questo sia illegittimo, ci mancherebbe. Però la sensazione è che gli italiani - sia gli elettori dei partiti della (ex) maggioranza, sia gli altri - non capiscano la ragione dell'improvviso precipitare degli eventi. E non perché distratti dal periodo vacanziero: ieri pomeriggio, in strada, dalle finestre aperte di molte case si sentivano i televisori sintonizzati sulla seduta di Palazzo Madama, quasi come succede con le partite della nazionale ai Mondiali.

Il fatto è che ciascuno di noi si confronta con altri problemi, che non ritrova nel dibattito politico di questi giorni. Ieri, su Facebook, il sindaco di Fonni Daniela Falconi ha condiviso delle riflessioni che sono un buon esempio di questo spaesamento generalizzato. Lei, che è anche imprenditrice, ha pubblicato la foto di alcuni moduli di pagamento F24, definendoli "il comitato d'accoglienza, in scadenza oggi, di ogni impresa al ritorno dalle ferie". Mentre "a Roma giocano a Risiko col nostro futuro pensando più ai sondaggi che alle esigenze dei cittadini. Quando ho votato, ho votato per avere una rappresentanza per 5 anni. Non per avere la sensazione di dover votare ogni 6 mesi". Il titolo del post di Falconi è una sintesi graffiante: "In crisi siamo noi, non voi".

Appellarsi a Mattarella, ora, è una forma di pensiero magico neanche troppo confortante. Pur con tutta la sua saggezza, il capo dello Stato da solo non può fare miracoli. Sta alle forze politiche - tutte - recuperare il senso di realtà, smettendola col gioco del cerino per non accollarsi il peso della manovra salva-Iva e la responsabilità del ritorno alle urne.

Questo è quello che farebbero dei partiti davvero interessati ai problemi degli italiani. Perché in crisi siamo noi, non loro.

Giuseppe Meloni
© Riproduzione riservata