Il giorno dopo le elezioni Europee è arrivato, e sembrerebbe proprio averci regalato uno scenario politico che, a livello europeo, in buona sostanza, eccezion fatta per i numeri, ripercorre quello precedente che vedeva il predominio del PPE, europartito di Forza Italia, a cui stavolta andranno 180 seggi contro i 213 del precedente quinquennio, seguito dai Socialdemocratici, cui andranno 146 seggi contro i precedenti 190. ENL, europartito della Lega, se ne aggiudicherà 58, ossia uno in meno rispetto all’eurogruppo (ECR) di Fratelli d’Italia, che se ne aggiudicherà 59, e quattro in più rispetto all’eurogruppo dei 5 Stelle (EFDD) che ne acquisirà 54.

In realtà, al di là della riconferma del Partito Popolare Europeo, il Day After le elezioni un elemento di grande novità, e di non trascurabile peso, lo ha portato: ha decretato il ritorno, questa volta in qualità di Europarlamentare, del Presidente Silvio Berlusconi, in forma nonostante i suoi ottantaquattro anni frastagliati da alterne vicende a cui ha resistito con forza, ancora capace, alla faccia di chi lo voleva defunto (quanto meno politicamente), non solo di stupire per la sagacia dei suoi discorsi e per la lucidità e concretezza del suo programma, ma anche di risorgere dalle ceneri come l’Araba Fenice per imporsi comunque in una competizione elettorale agguerritissima che vedeva una Giorgia Meloni lanciatissima nella corsia di un sorpasso poi evidentemente mancato alla prova del voto, e un Salvini sempre più duro nel riaffermare la propria volontà di proseguire nella scelta di governo intrapresa all’indomani del 4 marzo 2018.

Silvio Berlusconi (foto Ansa)
Silvio Berlusconi (foto Ansa)
Silvio Berlusconi (foto Ansa)

Certo è che il derby Europeisti contro Sovranisti finisce dunque con un bel uno a zero e palla nuovamente al centro, a dispetto di chi ha creduto che i giochi fossero oramai decisi. Infatti occorre ora domandarsi e comprendere se lo scenario concretizzatosi all’indomani del voto potrà davvero rivelarsi determinante nel processo di riforma dell’Unione Europea auspicato oramai da anni da più parti, e se la riconferma del Partito Popolare Europeo, quale primo partito in Europa, arricchito dalla presenza di Forza Italia, sia in grado di costituire un fattore determinante di destabilizzazione degli equilibri interni di governo, ed in particolare della alleanza giallo verde che, inutile negarlo, fa acqua da tutte le parti e che sul piano economico sta conducendo il paese verso un declino mai registrato prima.

Giorgia Meloni (Ansa)
Giorgia Meloni (Ansa)
Giorgia Meloni (Ansa)

Se poi a questo si aggiunge che il Movimento 5 Stelle ha all’evidenza intrapreso un declino inarrestabile subendo un ulteriore processo di svuotamento che lo ha fatto retrocedere di gran lunga rispetto ai risultati stellari ottenuti alle scorse politiche rendendolo quasi “non pervenuto” rispetto al PD che, per contro, è addirittura riuscito a risalire la china, allora si capisce bene che le scelte contrattuali imposte dai due vicepremier tanto convincenti e/o vincenti non sono e che, alla lunga, questo potrebbe danneggiare, come di fatto finirà per danneggiare, anche la Lega siccome inevitabilmente corresponsabile delle scelte di governo. Personalmente, pertanto, ritengo di poter rispondere in senso affermativo all’uno ed all’altro interrogativo.

Matteo Salvini (Ansa)
Matteo Salvini (Ansa)
Matteo Salvini (Ansa)

Intanto, perché sebbene il capitano leghista abbia stravinto in Italia, tuttavia, i suoi grandissimi numeri, rappresentando una vittoria di Pirro, non gli consentono affatto di rendersi incisivo in seno al Parlamento Europeo ove, ad andargli bene, potrà, al più, guidare l’opposizione ma non certo mettere in discussione la maggioranza rappresentata dai popolari, giacché non potrebbe riuscire, Salvini si intende, numeri alla mano, a raggiungere la maggioranza dei seggi occorrenti a “comandare” neppure col potenziale sostegno di Farage, Orban e conservatori, dando per scontato, ovviamente, l’appoggio della Le Pen.

Marine Le Pen (Ansa)
Marine Le Pen (Ansa)
Marine Le Pen (Ansa)

Quindi, perché i suoi voti stavolta Salvini potrebbe solo leggerli senza poterli pesare siccome l’asse con la Le Pen si è rivelato, alla prova del nove, fallimentare costringendolo all’isolamento in Europa e quindi di fatto ostacolandolo nel suo intento propagandistico di realizzare quanto promesso anche laddove riuscisse a ricreare, nella più rosea delle aspettative, una sorta di centro destra europeo coinvolgendo (e la cosa sembra improbabile) il Partito Popolare.

Infine, perché, se davvero un esponente della Lega riuscisse a porsi a capo della opposizione (perché Salvini non lascerà lo scranno da Ministro dell’Interno), comunque si troverebbe a dover dialogare, ed in modo serio, anche col Presidente Berlusconi, suo vero unico interlocutore, e soccorritore all’evenienza, nell’ambito della maggioranza popolare europea, il quale, a sua volta, ben potrebbe, al contrario, sollecitare l’inversione di tendenza sul piano interno, pretendendo equilibri di governo alternativi a quello attuale.

Luigi Di Maio (Ansa)
Luigi Di Maio (Ansa)
Luigi Di Maio (Ansa)

Anche a voler prescindere dal ragionamento appena condotto, mi preme comunque sottolineare che l’illusione sovranista novecentesca di stampo salviniano rappresenta solamente uno specchietto per le allodole utile soltanto ai fini propagandici/elettorali ma inefficace ed inattuabile sul piano pratico siccome fondata su una sorta di erronea quanto squalificante identificazione, di sapore tutto italiano, di sovranismo e nazionalismo compiuta all’evidenza in malafede se solo si considera che in paesi come la stessa Francia e la stessa Germania le istanze nazionalistiche e sovranistiche, attualmente reinterpretate alla luce dei tempi correnti, vengano serenamente rivendicate pur senza revocare in dubbio i principi di solida democrazia.

E purtroppo proprio questa illusione che il Ministro dell’Interno continua ad alimentare ha certamente contribuito a far sì che l’Italia, al contrario di altre realtà europee, sia rimasta intrappolata in un immobilismo pericolosissimo che la ha resa fino ad oggi incapace di affidarsi alle istituzioni sovranazionali e di rendersi pienamente partecipe di un vero progetto comune europeo, diretto alla tutela di interessi comuni.

Fortunatamente l’idea di una Unione meno integrata non ha resistito alla prova del voto e siamo quindi ben lontani dall’affermazione di una forza particolaristica idonea a determinare un cambiamento in senso popolare ed euroscettico oramai impossibile in una realtà mondiale globalizzata.

Il Parlamento europeo (Ansa)
Il Parlamento europeo (Ansa)
Il Parlamento europeo (Ansa)

Tuttavia, la realizzazione di un progetto forte come quello federativo europeo, perseguito a ben ragione dal lungimirante Presidente Berlusconi, non è comunque scontata siccome richiede non solo il consenso di tutti gli stati membri dell’Eurozona, ma anche, conseguentemente, il necessario trasferimento alla nuova costituenda entità europea di porzioni di sovranità tecnicamente intesa sia sul piano militare sia sul piano economico, oltre che ovviamente politico-rappresentativo con l’introduzione di meccanismi decisionali ispirati a maggiore trasparenza.

Il progetto è arduo ma vale la pena perseguirlo perché oggi essere europeisti e/o internazionalisti vuol dire tanto difendere il proprio senso di appartenenza ad uno specifico Stato-Nazione, quanto far parte come Stato – Nazione di una comune entità superiore, quale sarebbe nel caso di specie la Federazione Europea, da contrapporre tanto al dilagante “colonialismo” economico cinese quanto all’attuale imperialismo di stampo americano.

Chi avrebbe voluto smacchiare il giaguaro è rimasto con lo smacchiatore in mano e la partita resta ancora tutta da giocare.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)

© Riproduzione riservata