Luccicano gli occhi a tutti - politici, amministratori, cittadini comuni - quando si para davanti un investitore straniero; specie se si tratta di cinesi, russi, arabi che nell'immaginario collettivo appaiono come i nuovi potenti, i Re Magi della nostra epoca.

Siamo infatti, da sempre, esterofili, noi italiani. Lo siamo stati con i francesi, con i tedeschi, con gli americani. Ora poi che siamo annoverati tra i paesi pigs, per di più con un rating BBB, lo siamo ancora di più. E attendiamo speranzosi i "nuovi ricchi", che accogliamo come salvatori, venuti a portare ricchezza. Anche la Ue è esterofila, avendo addirittura inserito nei Trattati disposizioni (come gli articoli 63 e 206 TFUE) che la obbligano a contribuire "allo sviluppo armonioso del commercio mondiale, alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali e agli investimenti esteri diretti, e alla riduzione delle barriere doganali e di altro tipo". Risultiamo quindi aperti e remissivi, noi europei, ad accogliere investitori stranieri, in misura ben maggiore di quanto fanno altri che, già dal 1975, con Gerald Ford, hanno istituito un Comitato federale sugli investimenti esteri che li valuta e può decidere di vietarli.

Il Governo italiano ha appena firmato il memorandum sulla "via della seta" e recepito l'iniziativa concepita da Xi Jinping, già nel 2013, tesa a ricreare l'antico traffico di merci tra gli imperi cinese e romano. Avremo così due grandi rotte, via terra e via mare, del commercio internazionale, che più che di seta saranno di cemento e ferro, avendo i cinesi previsto enormi investimenti infrastrutturali.

Altrettanti accordi sono stati siglati con Bulgaria, Croazia, Malta. Anche perché i cinesi hanno notato che la UE è debole, soffia il vento sovranista e torna ad affermarsi il metodo intergovernativo. Dunque quale migliore occasione per applicare il vecchio brocardo: divide et impera?

Nel 2017 la Cina ha costituzionalizzato il progetto "via della seta" come strumento di proiezione geopolitica della Cina, includendo, nella recente normativa sull'intelligence, un obbligo di stretta cooperazione per cittadini e imprese. È stata quindi concepita anche una forte espansione culturale (Confucio ed altre iniziative formative), oltre che economica, logistica e infrastrutturale. Con una straordinaria complicità tra grandi imprese e governo cinese, il quale finanzia, promuove e protegge tutti gli investimenti effettuati dai propri connazionali. Noi, dal canto nostro, abbiamo messo in Costituzione il pareggio di Bilancio, elevato a sacramento il divieto di aiuti di stato, e ci siamo assoggettati alle norme europee sulla politica economica, monetaria e sull'indebitamento degli Stati. Per fortuna che almeno i giudici di Lussemburgo in questi giorni hanno aperto una breccia, annullando la decisione con cui la Commissione aveva impedito, nel 2015, l'intervento del fondo interbancario di garanzia nel salvataggio di banca Tercas. Non erano aiuti di Stato, ha spiegato il Tribunale UE 4 anni dopo i fatti. Peccato che, nel frattempo, gli occhiuti paladini dell'austerity europea abbiano lasciato sul campo migliaia di vittime; come i tanti risparmiatori di Cr. Ferrara, Banca Marche, Popolare Etruria, Cr. Chieti.

Come può dunque un sistema come il nostro, che asfissia con l'austerità i propri operatori economici (mentre spalanca le porte agli investimenti esteri) trarre beneficio dalla via della seta, lungo la quale governi e imprese cinesi, uniti, pianificano sistematicamente l'acquisizione di infrastrutture, asset essenziali, big data (inclusa la connessione 5G)? Perché non capiamo che l'Italia ha un eccesso di risparmio pari a 45 miliardi di euro l'anno e che dobbiamo anzitutto sbloccare i nostri investimenti (pubblici e privati) asfissiati dalla burocrazia, dalla paura del debito pubblico e dall'incapacità di progettare? Bene quindi dialogare con la Cina ma ricordiamoci che la sericoltura della seta, scoperta e coltivata dall'imperatrice cinese Xi Ling Shi, venne tenuta segreta per secoli. Attenzione dunque, valutiamo bene a quali interessi risponde il disegno strategico cinese e smettiamola di farci del male con l'austerità. La via della seta dev'essere un'autostrada a doppio senso, non a senso unico; altrimenti diventa un cappio. Che, per quanto di seta, ci strangola lo stesso.

Aldo Berlinguer

(Università di Cagliari)
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