E così ecco il "Decretone". In un Paese che non è malato di faziosità, i ministri non fanno selfie e video su e con detenuti ammanettati, e le opposizioni non dicono sempre di no per partito preso. Persino nell'Italia della guerra fredda, con la Dc al governo, il Pci votava le leggi che riteneva utili, magari cercando (dal suo punto di vista) di migliorarle in Parlamento. Da noi i ministri girano tutorial su YouTube con piglio da imbonitori, e gli ex ministri giocano al tanto peggio tanto meglio su Twitter. Peccato.

Tuttavia, in questa Italia malata, che oggi contrae ufficialmente il virus della recessione non solo per colpa sua (il vento della crisi sta tornando a spirare in tutta Europa e abbatte la produzione industriale persino nella insospettabile Germania) il Decretone presentato giovedì ha un merito incontestabile: imbocca una direzione decisa e lo fa con tutti i crismi, seguendo una visione ben determinata e visibile, investendo sui più poveri. Persino la divinità più capricciosa che accompagna e tormenta la nostra economia, lo spread, sembra gradire: ieri, per la prima volta dopo tanto tempo, lo spread è sceso sotto la soglia psicologica dei 250 punti (picco di 244). Questo perché i mercati preferiscono sempre la certezza all'indeterminato.

Un mese fa, il premier Giuseppe Conte mi ha detto: «Io quel numero lo devo guardare solo con la coda dell'occhio, ma sempre: anche perché la manovra è stata parametrata nella trattativa con Bruxelles calcolando lo spread a 270, ogni decimale che scende risparmiamo soldi per interessi».

Quanto a 250? Quasi un paio di miliardi. Questo pacchetto di riforme potrà non piacere ma per una volta è chiaro cosa vuole ottenere: finita la stagione dei bonus si investe nella spesa sociale, con il Reddito di cittadinanza, in Quota 100 per liberare gli "imprigionati al lavoro" (ultrasessantaduenni assunti dal 1980, spesso con professioni fisicamente gravose), e si sbloccano persino le liquidazioni del pubblico impiego. Per effetto del decreto infatti, il Tfr arriverà a tutti, anche a chi - ed era una vergogna - la aspettava da due anni: «Non potevo accettare che il TFR arrivasse solo a chi va in pensione con Quota 100 - mi dice il ministro Giulia Bongiorno - altrimenti la Corte Costituzionale avrebbe potuto sanzionarci. Non possono esserci cittadini di serie A che prendono i soldi e cittadini di serie B che devono aspettare» (anticipano le banche, con una convenzione tra Stato ed Abi).

Mentre la Bongiorno mi sta spiegando gli effetti del decreto, le mettono sul tavolo dei grandi libri-firma rilegati in blu che si accatastano uno sull'altro. «Cosa sono?», le chiedo. «Le nuove assunzioni - mi risponde sorridendo - hai davanti il datore di lavoro che sta firmando più contratti in Italia: io». Bisogna spiegare che il blocco del turn over voluto dall'Europa (fino a novembre 2018) viene in parte aggirato. Negli Enti locali dove non ha effetti, nell'amministrazione centrale (con 150 milioni di fondi speciali per assunzioni urgenti in deroga), e con il 25% delle sostituzioni del 2018 (queste non sono state bloccate), infine con tutte i nuovi contratti dal prossimo autunno.

Quota 100 nel privato aiuta cittadini e imprese e nel pubblico serve a sbloccare una situazione drammatica: l'età media dei dipendenti è 53 anni, quella dei dirigenti quattro anni di più. Per modernizzare lo Stato bisogna digitalizzare e per digitalizzare servono giovani, se si digitalizza si risparmia. Il Reddito sarà anche una dote: «Se un imprenditore assume qualcuno che lo percepisce - mi spiega la sottosegretaria all'Ecomonia Laura Castelli - avrà in dote le mensilità che restano da incassare al cittadino. Sarà questo il più grande disincentivo al divano». Tante speranze e tanti dubbi. Perché ovviamente non mancano i punti interrogativi: ancora una volta (come accade dal 2011) pesano sulla nostra testa esose clausole di salvaguardia rimandate al prossimo anno. E la riforma dei centri per l'impiego probabilmente procederà più lenta di quanto non dica il governo. «Il reddito dovrà essere speso tutto entro fine mese - aggiunge la Castelli -e quindi si tradurrà tutto in consumi». Producendo che effetto? Altro dubbio. L'Istat dice lo 0.3% del Pil in più, che di questi tempi sarebbe prezioso ossigeno per le nostre casse: ma accadrà davvero? In queste ore anche osservatori molto severi con il governo riconoscono (Massimo Giannini di La Repubblica) che «Di Maio e Salvini hanno mantenuto le loro due principali promesse». Limandole, certo, ma senza rinunciarci: questo per me è positivo, comunque la si pensi. Ma la manovra non è un concorso di virtù: l'unica speranza che tutti devono coltivare, e cioè che il Decretone faccia bene all'economia, non dipende solo da noi, ma anche dai venti che soffiano sull'Europa (con la Brexit), e sull'America (con la fiera dei dazi). Incrociamo le dita.

Luca Telese

(Giornalista e autore televisivo)
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