Pare proprio che il 21 marzo prossimo, in occasione della visita di Xi Jinping a Roma, si procederà, non senza timori e polemiche, alla firma del Memorandum of Understanding tra l’Italia e la Cina relativo alla cosiddetta Belt and Road Initiative, in breve BRI, che sancirà la conferma della nostra partecipazione al progetto pechinese meglio denominato "La Nuova Via della Seta". Stando alle dichiarazioni rilasciate dall’attuale premier Giuseppe Conte l'accordo, di cui a tutt’oggi resta ignoto, in termini di precisione, il contenuto, potrà determinare un "nuovo impulso all’economia del Paese" pur senza incidere sulla "tutela degli asset strategici” tanto cari (e direi giustamente) al ministro dell’Interno.

Come tutti sappiamo, ma a fini argomentativi ritengo utile chiarirlo in breve e semplicemente, viene definita "La Nuova Via della Seta" quella particolare strategia, denominata dai suoi fautori, e non a caso, come semplice "iniziativa", quasi a volerne sottolineare anche sotto il profilo semantico e letterale la non pericolosità (ma che io definirei a prescindere strategia geo-politico economica di conquista espansionistica), attraverso la quale la Cina intenderebbe rinforzare i suoi collegamenti e scambi commerciali nella stragrande maggioranza dei Paesi euroasiatici. La finalità della sopra richiamata BRI, più o meno apertamente dichiarata, sarebbe dunque quella di cementare la supremazia cinese sul mercato occidentale e, nel contempo, offrire nuove correnti di crescita ai Paesi europei verso l’Oriente.

E va bene: se fosse solo questo, sarebbe importante ragionarci su considerata pure la crisi economica che ci attanaglia.

Ciò che Conte non dice, tuttavia, è che l’Italia, quale Stato fondatore dell’Unione Europea, nonché membro fondatore della Nato, è il primo Paese del G7 a voler sottoscrivere, forse con troppa ingenuità, il richiamato documento con Pechino i cui vertici, già nell’ottobre dell’anno 2017, si erano curiosamente premurati di inserire la BRI nella Costituzione cinese, ovvero nella Costituzione del Partito Comunista Cinese, facendo così divenire quella che volevano far sembrare una innocua e temporanea iniziativa di carattere prettamente economico, un vero e proprio obiettivo strategico/egemonico di Stato a lungo termine (perché la pianificazione a largo spettro temporale costituisce caratteristica tipica della classe dirigente del Paese) in grado di destabilizzare gli equilibri e gli assetti della politica mondiale a tutto svantaggio del colosso colonialista americano (di cui ha sapientemente acquistato il debito pubblico costringendolo ad un dialogo reciprocamente costante e vincolato) e, di conseguenza, anche europeo.

Finita l’era della contrapposizione tra Usa e Urss, non sarebbe più Mosca, come di fatto non è, il vecchio temuto e "conosciuto" nemico da fermare quanto, piuttosto, una nuovissima ed inaspettata super potenza silenziosa e discreta, in passato costantemente sottovalutata, che oramai da qualche anno si è lentamente inserita indisturbata nelle nostre comunità occidentali e che continua ad avanzare altrettanto indisturbata (giustamente devo dire stante l’atteggiamento di rispetto verso il paese di accoglienza) sotto le mentite spoglie di mercatino rionale a basso costo idoneo evidentemente a consentire l’accumulo di ingenti quantità di denaro e quindi l’acquisizione di sempre maggiore potere economico, politico e militare, considerato anche l’intervenuto graduale processo di svecchiamento delle proprie armate benché a tutt’oggi la Cina sia una delle nazioni più pacifiche al mondo.

Tanto detto, non si può negare che stabilire se questo Paese orientale rappresenti o meno una seria minaccia non è cosa semplice, anche perché è assai difficile prevedere con largo anticipo i mutamenti dello scenario internazionale: ai fini esemplificativi basti considerare la circostanza stessa che fino a qualche anno fa, credo nessuno di noi avrebbe mai sostenuto che il Paese del Dragone, meglio noto più che altro per essere la patria natia di Bruce Lee, si sarebbe evoluto e rafforzato a tal punto. Abbiamo così sottovalutato quel Paese tanto culturalmente diverso che oggi non possiamo fare a meno di temerlo siccome incapaci di interpretarlo e capirne le intenzioni più remote.

Per riprenderci le chiavi di casa, a voler utilizzare una espressione di Salvini, mi sembra un tantino tardi, tuttavia, ciò che davvero a questo punto ritengo sia indispensabile è scegliere bene a chi altri aprire la porta nell’ottica di creare un contrappeso all’avanzata (pacifica o no) della Cina e del suo patriottico comunismo internazionalistico.

E chi altro meglio della vecchia buona e cara Russia (e del suo presidente Putin) può incarnare questo ruolo vista e considerata la sua ricchezza in termini di materie prime così importanti per l’espansionismo egemonico cinese? Perché, diciamocela tutta, ora che i buoi sono usciti dal recinto, continuare ad isolare economicamente la Russia, come avvenuto negli ultimi anni nel chiaro tentativo di depotenziarla, sarebbe davvero un errore da principianti giacché avrebbe come inevitabile conseguenza quella di favorire la sua alleanza, certo in termini deficitari, con Pechino che, al contrario, vedrebbe enormemente rafforzata la sua egemonia ad est anche nei confronti del Giappone.

Se fossimo ad un torneo di scacchi, direi proprio che la Cina ci ha fatto scacco matto riuscendo addirittura a restituire un ruolo strategico a quello che era, solo nei ricordi, il primo e più temibile competitor americano ossia la Russia. E la firma, oseremmo dire quasi improvvisata, del Memorandum, inevitabilmente, determinerà non solo una incrinatura importante dei rapporti dell’Italia con Washington, ma contribuirà al processo di isolamento dell’Italia (già fortemente instabile sul piano politico interno) in Europa.

Da qui al 21 prossimo sarebbe proprio il caso che il Governo Conte tornasse sui suoi passi, giacché quand’anche, ma l’ipotesi è solamente argomentativa, il colosso cinese non fosse un reale nemico, tuttavia, il pericolo per noi sarebbe dato comunque proprio dall’impossibilità di calcolare le esatte conseguenze di questa adesione ad un Memorandum che, in realtà, non sappiamo fino a che punto potrebbe risultare vincolante a nostro solo discapito e che ci costringerebbe, come di fatto ci sta costringendo, a voltare le spalle al nostro fedele alleato storico. Cui prodest?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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