Cosa è successo negli ultimi due mesi nelle nostre dispense? Semplice, le abbiamo riempite di pasta, passata di pomodoro e fecola. In bagno abbiamo poi accumulato carta igienica e litri di igienizzante per le mani. E l'alcol denaturato, per lungo tempo snobbato, va a ruba e viene venduto sottobanco.

Sono solo alcuni degli effetti dell'emergenza Coronavirus sui nostri consumi, un'emergenza che ha stravolto anche la nostra spesa: quello che compriamo, i luoghi e i tempi con cui lo facciamo.

Si tratta di un vero e proprio terremoto di cui è difficile calcolare le conseguenze, soprattutto sul lungo periodo. Secondo le stime di Confcommercio, il calo dei consumi potrebbe, infatti, toccare i 52 miliardi di euro nel corso dei prossimi mesi, una perdita che si tradurrebbe in una riduzione del Pil pari al 3%. Codacons, invece, prevede un crollo degli acquisti intorno ai duemila euro a famiglia, con una contrazione significativa per il mondo dei servizi, cioè turismo, ristorazione, intrattenimento dal vivo.

Previsioni fosche, forse troppo catastrofiche, forse no. Quello che è certo è che il Coronavirus sta sicuramente impattando sulle nostre abitudini di spesa come ci spiega Anna Zinola, docente di psicologia del marketing a Pavia e autrice del volume "La rivoluzione nel carrello", di cui esce in questi giorni una nuova edizione aggiornata (Guerini, 2020, solo e-book) in cui si parla proprio delle nuove tendenze di consumo degli italiani:

"Se guardiamo all'impatto immediato avuto dal Coronavirus, nella prima fase c'è stata una risposta emotiva, di pancia. I consumatori hanno riempito in modo convulso il carrello, in una logica 'bunker'. A prevalere è stata la paura: paura di dover rimanere chiusi in casa per molto tempo, paura di non trovare il cibo al supermercato. Una volta metabolizzata la situazione, i consumatori hanno ridefinito le strategie di spesa e hanno agito con maggiore razionalità. Ecco, allora, che l’effetto scorta si è attenuato e si è affermato un approccio più ragionato".

Si è comprato meno?

"Ci si è resi conto che la dispensa era stipata di cibo per i prossimi sei mesi e poi nelle nostre case ci sono dei limiti di spazio. È rimasta, invece, la tendenza ad acquistare più materie prime (come la farina, lo zucchero o il lievito) dovuta da un lato alla necessità di consumare tutti i pasti a casa e dall’altro lato al maggior tempo a disposizione, che è stato dedicato anche alla cucina".

Questi cambiamenti sono legati a motivazioni solo pratiche oppure rispondono anche a bisogni psicologici e paure?

"Credo che entrambe le motivazioni abbiano un ruolo. Ci sono state ragioni pratiche (per esempio la necessità di ridurre la frequenza di visita al supermercato o l’obbligo di fare la spesa nel punto vendita più vicino) e ci sono state motivazioni psicologiche come la paura dell’ignoto, la tendenza a rinchiudersi, l'incertezza rispetto al presente e, tanto più, al futuro".

Quali settori del consumo sembrano reggere meglio?

"I settori che hanno tenuto meglio sono tre: il food nelle sue varie declinazioni (dai prodotti a lunga conservazione al fresco, che inizialmente era andato in sofferenza), i prodotti legati alla salute e alla prevenzione (come gli integratori, i guanti, le mascherine) e tutto ciò che permette una sanificazione (effettiva o presunta) dello spazio domestico (alcol, candeggina, detergenti con funzione igienizzante). Ottime performance hanno registrato anche i servizi che potevano essere fruiti a casa. Mi riferisco allo streaming di serie tv e film, ai videogiochi ma anche ai servizi fitness fruibili da remoto".

E quali sono in sofferenza?

"Sono tanti. Ci sono i servizi legati alla mobilità (come il trasporto pubblico), al turismo (gli hotel in primis) e al tempo libero (le palestre, gli spettacoli dal vivo e così via). Ma c'è anche l'editoria, la moda, la cosmesi. È vero che molti prodotti (libri, vestiti, creme) erano disponibili on line ma, stante la situazione, i consumatori disposti all’acquisto sono stati ben pochi. Ciò è dipeso in parte da ragioni emotive perché in una situazione di pericolo a chi viene in mente di comperare un vestito? In parte da ragioni pratiche dato che l'accesso massiccio all'e-commerce ha reso più lento l’intero sistema, con ritardi nelle consegne".

Quali sono le tendenze destinate a mantenersi anche una volta passata l'epidemia e quali invece sono destinate a rientrare nella normalità?

"Penso che ci saranno due fasi: in una prima fase, che potrebbe durare per i prossimi 12 mesi, alcune tendenze permarranno. Mi riferisco, per esempio, a un approccio più oculato verso i consumi – diciamo così – voluttuari (dovuto anche al clima di incertezza economica complessiva) o alla tendenza all’autoproduzione di alcuni alimenti. Nella seconda fase – con la progressiva stabilizzazione della situazione economica e il controllo progressivo della diffusione del virus – tutto tornerà, più o meno, come prima".
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