S e fosse vivo, oggi il Pci compirebbe cento anni. Essendo morto trent'anni fa, in luogo di una celebrazione ci sarà, forse, una commemorazione. Corona di D'Alema, fiori di Bersani, lacrime di Bertinotti. Morì nel 1991 soffocato dalle macerie del Muro di Berlino. Prima di dichiararne la morte cerebrale gli italo comunisti attesero l'implosione dell'Urss e la liquidazione del Pcus. Accertato il rigor mortis del Padre, seppellirono il Figlio. Da quel momento si allontanarono progressivamente dalle idee, dagli slogan e dai rublodollari di Mosca. Per garantirsi la sopravvivenza vendettero i gioielli di famiglia. Il ripudio del passato divenne regola e il confiteor di Veltroni rivelò che erano stati molti i “comunisti a loro insaputa”. Nel tentativo di far perdere le tracce che conducono al passato, fecero scomparire simboli e icone. E sostituirono il vocabolo “comunismo” con “democratico”. All'anagrafe dei partiti registrarono, in sequenza, i neonati Pds, Ds, Pd: figli, nipoti e pronipoti del de cuius. Nessuno di loro ne ha il carattere se non nella pretesa di governare anche quando perdono le elezioni. Non brandiscono più falce e martello, ora fanno la lotta di classe con il “politicamente corretto”: dall'angostura alla camomilla. Dal pensiero di Gramsci ai pensierini di Laura Boldrini.

TACITUS
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