I l tempo è scaduto. Il 14 è alle porte e sui banchi (di prova) ci sarà anzitutto il governo. Il comparto scuola, si sa, è infatti da sempre il più delicato, non solo perché riguarda le nuove generazioni, il futuro del Paese, ma perché il numero di persone che coinvolge è davvero strabiliante. Oltre agli 8,5 milioni di discenti, la scuola tocca nel vivo più di 800 mila insegnanti e 200 mila amministrativi. Il Ministero dell'Istruzione è quindi tra i maggiori datori di lavoro di tutta la UE. E, se si contano le famiglie interessate, i numeri crescono a dismisura.

“Chi tocca le scuola muore” è sempre stato il monito della politica. E infatti non sono pochi i ministri che, a torto o a ragione, ne hanno fatto le spese. Del resto, per essere così ampio e diffuso, il comparto scuola è specchio fedele della cosa pubblica in Italia. Con alcune eccellenze e tante criticità, tutte ben note: edilizia scolastica fatiscente, rarefazione dei presidi nelle aree interne, servizi scadenti, docenti insufficienti, scarse informatizzazione e nuove tecnologie, programmi spesso obsoleti e inadeguati. Ovvio che, data l'offerta, carente risulta anche la domanda, con un tasso di dispersione scolastica tra i più alti d'Europa.

Altrettanto impietoso è il riverbero che la scuola offre del Paese Italia, diviso tra nord e sud, quest'ultimo con competenze, alfabetiche e numeriche, dei discenti più basse. E con graduatorie, per il reclutamento dei docenti, ben più numerose.

D iverse anche le coperture per materia: maggiori nel settore umanistico, minori in quello scientifico.

Insomma, diciamoci la verità, la scuola, già prima del Covid-19, faceva acqua da tutte le parti. E le dimissioni del Ministro Fioramonti, meno di un anno fa, sono ancora lì a testimoniarlo. Cosa è accaduto quindi con l'arrivo della pandemia? L'inevitabile: il Re è nudo. Infatti anche un bambino della scuola materna, conoscendo la favola dei tre porcellini, sa che, quando arriva il lupo cattivo, solo chi ha costruito una casa di mattoni riesce a resistergli. Chi ha la casa di paglia se la vede crollare in testa. E ciò è accaduto col Covid-19 (il lupo di oggi): una delle tante traversie che dovremo fronteggiare.

Ma i problemi non sono finiti poiché questo Governo, invece di cogliere la sfida e rinforzare pro-futuro le fondamenta della scuola, ha reagito alla pandemia con misure troppo contingenti e troppo rassicuranti, scadendo, talvolta in rattoppi, tal'altra in annunci mediatici, da sempre sconsigliati in questo Paese immobile.

Così è stato per i banchi in plastica, a rotelle, che finiranno presto in soffitta, nel post-Covid. E per il reclutamento degli insegnanti, ben lungi dall'essere completato, essendosi il Governo rifiutato di procedere ad assunzioni per titoli e servizio. Così anche per i mezzi di trasporto: che significa ridurre la capacità all'80%? Escludere due file di sedili in coda agli autobus?

Non parliamo poi di mascherine e distanziamento, oggetto, per mesi, di una comunicazione pubblica farneticante. Che dire infine delle diagnosi Covid-19 demandate ai genitori? Qui l'inefficienza dello Stato diviene proverbiale e le responsabilità pubbliche, al solito, vengono traslate sui privati. Ma se i sintomi compaiono? Magari come influenze di stagione? Gli studenti restano a carico delle famiglie?

Il 14 settembre sarà dunque dura ma in qualche modo ce la faremo. Ancor più dura sarà nei mesi successivi. Ma il problema maggiore sorgerà quando, finita la pandemia, torneremo alla nostra normalità: la scuola di paglia.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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