D urante la fase del lockdown, la maggior parte dei miei amici aveva una aspettativa che li ha aiutati a gestire i tempi più difficili. C'era chi non vedeva l'ora di poter andare al ristorante, chi smaniava dalla voglia di tornare in palestra, chi (ammettiamolo) aspetta ancora con trepidazione la riapertura delle scuole. Piccole visioni della vecchia normalità che davano speranza in quei mesi di restrizioni e ansia.

Io il lockdown a Londra l'ho passato sognando Carloforte - meta delle mie estati da più di 30 anni - e sperando che riaprissero le frontiere nazionali, che ricominciassero i voli, che non ci fossero altri picchi di contagi in Gran Bretagna o altre quarantene. Di poter scappare e far finta, almeno per un paio di settimane, che il coronavirus non continui ad avere un impatto così devastante sulle nostre vite. Il sogno si è realizzato a metà. Sto scrivendo questo articolo dall'Isola di San Pietro, ma di scappare dal coronavirus non se ne parla. Negli ultimi giorni l'isola si è ritrovata con numerosi casi positivi e l'atmosfera è cambiata improvvisamente. Si sente l'odore della vecchia incertezza e l'oppressione di una possibile chiusura, devastante per l'economia e la serenità del paese.

E ra prevedibile che con la riapertura di locali e della stagione turistica ci sarebbero stati dei nuovi casi, forse anche inevitabile. Il coronavirus è insidioso. Anche la Nuova Zelanda, uno dei paesi che ha avuto più successo nella lotta contro il Covid-19, si è improvvisamente ritrovata con vari casi positivi dopo più di 100 giorni senza infezioni interne. Isolarci completamente dal virus è per ora impossibile. Quello che importa è la nostra reazione e preparazione. E proprio in questo Carloforte sta sfoderando in meglio di sè. Forse è ingiusto paragonare una piccola isola ad una metropoli internazionale come Londra, ma la tempestività con cui si è mossa Carloforte mostra perché l'Italia è vista come un esempio da seguire nella lotta contro la pandemia. Negli ultimi mesi ho condotto centinaia di interviste sul coronavirus per il Tg di Al Jazeera English e c'è una cosa su cui tutti gli esperti sono d'accordo: l'importanza del cosiddetto “track and trace”, identificare e monitorare per prevenire il diffondersi del virus. A Carloforte si sono subito identificate le fonti dei focolai. Rintracciando i potenziali contatti, sono stati fatti più di 400 tamponi nel giro di pochi giorni, e i positivi messi in quarantena. Nelle dirette dalla pagina Facebook del Comune, il sindaco Salvatore Puggioni spiega chiaramente la situazione e le misure prese dalle autorità. Sinceramente trovo l'appuntamento delle 20 su Facebook con il sindaco molto più rassicurante di quanto erano le conferenze stampa delle 17 di Boris Johnson, falsamente ottimista fino a che il virus se lo è beccato proprio lui.

Altre dimensioni, altri paesi, altri problemi. Comunque non sono solo le autorità, ma i cittadini stessi a far la differenza. A Carloforte tutti osservano alla lettera le misure di mascherine e distanziamento nei negozi, si aspetta pazientemente in fila fuori, le farmacie sono provviste di mascherine e si trova l'amuchina al supermercato. Chi è in vacanza può a volte cedere alla spensieratezza, ma è impossibile ignorare la richiesta enfatica di Enza del bar della spiaggia Bobba di mettere la mascherina anche se si sta solo passando davanti al bar, senza fermarsi. Perché Enza ha ragione, e fa bene a ricordarlo a tutti. Questo spirito collettivo non è così presente ovunque. Nel Regno Unito - per dire - le mascherine sono state rese obbligatorie nei negozi solo il 24 luglio. C'è tuttavia un aspetto per cui Carloforte si trova svantaggiata. Parte della sua bellezza è la sua piccola e forte comunità, di cui anche chi viene da fuori sente di far parte. Ma la familiarità può portare ad abbassare la guardia. Salutarsi in maniera “fredda” non si addice a Carloforte o alla Sardegna, ma forse, con un po' di pazienza, ci abbracceremo l'anno prossimo.

BARBARA SERRA

GIORNALISTA, CONDUTTRICE

DI AL JAZEERA A LONDRA
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