E ffetto maionese: il governo continua a ballare, accartocciandosi sul tema della giustizia come in una centrifuga, Giuseppe Conte si arrabbia, Matteo Renzi getta acqua sul fuoco, Nicola Zingaretti si prepara al peggio e prova a studiare contromosse, ma la ferita non si riesce a suturare in nessun modo, il punto di rottura tra gli alleati di governo sembra sempre più vicino.

Ormai il problema non è più la prescrizione (che comunque sarebbe un bene cambiare, soprattutto rispetto al rischio di soppressione totale, misura draconiana prevista dalla prima riforma Bonafede). Il problema è che la maggioranza giallorossa sta perdendo - strappo dopo strappo, giorno dopo giorno - un socio fondatore: i rapporti umani si logorano, la sfiducia tra leader cresce. Questa deriva, ormai, nel Palazzo non è più un segreto: giusto o sbagliato Matteo Renzi vuole un nuovo governo, in queste condizioni si sente stretto in una camicia di forza tra Zingaretti da un lato e Conte dall'altro, cerca di far saltare il Governo per sottrarsi dalla tenaglia e scongiurare l'effetto combinato della riforma elettorale e del taglio dei Parlamentari (entrambi già programmati) che ridimensionerebbero il suo peso. Il guaio (per lui) è che la sua guerriglia, fino ora, ha prodotto un solo risultato, ricompattare M5s e Pd contro un avversario comune: Renzi medesimo. Il secondo problema è di procedura parlamentare e riguarda il tema tecnico della prescrizione: se non passa il nuovo accordo (con le modifiche già concordate dalla maggioranza tra Pd, Leu e M5s) si torna al testo originario del ministro Bonafede.

C osì la prescrizione sarà del tutto abolita (con un evidente danno per le garanzie dei cittadini). Il leader di Italia Viva è riuscito nell'impresa, non facile, di far saltare il progetto di correzione del testo nel decreto Milleproroghe, ma - per paradosso - non si è avvicinato all'obiettivo finale, anzi: per ora ha ripristinato il testo originario.

È un bel pasticcio quello che si sta celebrando in queste ore, e il fatto più curioso è che nessuno dei protagonisti è in grado di prevedere come andrà a finire, perché nessuno di loro oggi ha i numeri per controllare e determinare, da solo, l'esito finale della partita. Parlo con il capogruppo del M5S al Senato, Gianluca Perilli, che mi dice: «Ormai tutto quello che fa Renzi ci fa capire che vuole uscire dall'alleanza e costruirne una nuova. Noi stiamo dialogando con molti che non hanno votato il nostro governo, a partire dal gruppo delle Autonomie. Attenti alle sorprese». E anche Giorgia Meloni - in modo speculare e opposto - è preoccupata per la linea che il centrodestra tiene di fronte a questa mini-crisi. La leader di Fdi manda un messaggio netto ai suoi alleati. Quando le chiedo se sarebbe disposta a votare una maggioranza che comprendesse l'ex premier mi pianta gli occhi addosso, dura: «Mai con Matteo Renzi, nemmeno un caffè insieme. Questa è la linea di Fratelli d'Italia. Figurarsi una qualsiasi convergenza in Parlamento. No, mai, sarebbe un suicidio politico, non se ne parla nemmeno».

Ma perché la leader della destra italiana ricorre a parole così nette? Perché in questa fase tutte le strade sono state indagate, sondate, ipotizzate. Ci sono stati molti contatti informali tra Renzi e i leader del centrodestra: in primo luogo c'è lo storico legame “nazareno” con Silvio Berlusconi (interessato a non andare al voto in una fase critica per Forza Italia). E poi c'è il canale Verdini (nel senso di Denis), vecchia volpe, il grande tessitore che parla sia con il Cavaliere, sia con Salvini, sia con Renzi (suo ex alleato). Insomma, il tema è questo: se il centrosinistra si rompe e non si va a votare, può esistere un'altra maggioranza? La Meloni pone il veto e dice ai suoi alleati: «Se cade questo governo c'è solo il voto anticipato e vinciamo noi». E senza Fratelli d'Italia il forno di destra si chiude. Ecco perché Conte si sente forte e attacca: «Qui i ricatti non sono accettati. Italia viva - si lamenta - fa una opposizione maleducata e aggressiva». In serata Renzi risponde con una diretta Facebook, getta acqua sul fuoco, ma resta sibillino sul futuro: «Se Conte vuole lavorare ci rimbocchiamo le maniche. Se vuole staccare la spina si prende lui questa responsabilità e la stacca». Tutti hanno la forza che serve per minacciare, nessuno quella per risolvere. La vera crisi italiana non è più il problema delle decisioni sbagliate, ma il fatto che nel grande coro delle debolezze nessuno più ha la forza di decidere.

LUCA TELESE

GIORNALISTA

E AUTORE TELEVISIVO
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