I n un suo romanzo autobiografico, Francesco Piccolo racconta di come, la notte del 27 marzo 1994, lui e un gruppo di amici, tutti intellettuali, tutti di sinistra, contemplassero con orrore la vittoria di Silvio Berlusconi, immaginando non restasse che la via dell'esilio. Con l'eccezione di una ragazza, poi diventata la compagna dello scrittore, che innanzi all'apocalisse imminente liquidava la questione con un: e che sarà mai?

A una settimana dalle elezioni in Emilia Romagna, forse possiamo comprendere meglio la saggezza di uno spirito simile. La contesa fra Borgonzoni e Bonaccini è stata raccontata come uno scontro epico. Dalla riuscita o meno dell'assedio leghista a Bologna dipendevano i destini del governo e del Paese. Sembrava si confrontassero due eserciti, uno tutto tenebra uno tutto luce. Il governatore uscente, che ha vinto con un margine superiore alle aspettative, è stato l'unico a cercare di non drammatizzare la situazione, a rimanere sul piano delle policy, a difendere il suo operato di amministratore.

La sua vittoria è stata caricata anch'essa di un significato nazionale. Anziché assumere che molti elettori emiliano-romagnoli abbiano semplicemente preferito l'usato sicuro, si è descritta la vittoria della sinistra come una trionfale mobilitazione antifascista. È probabile che lo stesso schema verrà riproposto altrove.

In realtà, i cittadini che innanzi a politici e partiti esclamano il loro “che sarà mai” sono più di quanto sembri. (...)

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