U na squadra matura, o almeno ambiziosa, può viaggiare a diverse velocità. Aggredire, conquistare ogni spazio lungo i centodieci metri del campo. Ma anche congelare il pallone, abbassando i ritmi, per gestire un vantaggio o una superiorità territoriale. L'esempio ce lo ha fornito la Juve di Allegri, due squadre in una, ma sempre cinica: nel portarsi in vantaggio e nel controllare gli eventi, dopo. Si chiama maturità, non si ottiene a tavolino ma con il lavoro duro e iniezioni di esperienza nell'organico. Il Cagliari ci sta arrivando, ci arriverà, ma nelle ultime uscite dove poteva e doveva gestire il vantaggio, ha capito poco e male cosa fare. Con la Lazio, sempre all'assalto per poi cedere di schianto dopo il 90'. Con il Parma, una partita di straordinaria importanza, dove potevi imboccare un'altra strada e invece sei lì a capire cosa è accaduto, il Cagliari ha ceduto 30 metri di campo, dopo inutili assalti ha scricchiolato una, due, cinque volte, fino a prendere il gol del pareggio, episodio molto simile al gol del laziale Caicedo. Maran è convinto del contrario: «Giochiamo per fare gol fino all'ultimo», ha detto sabato sera, «tiriamo più degli altri», avvalorando la tesi del terzo cambio saltato con un concetto corretto: «Non ho voluto che l'arbitro desse altro recupero e ho tenuto gli stessi in campo».

Il Cagliari sta vivendo una delle sue migliori stagioni di sempre, segna molto ma subisce troppo, ha preso un punto su nove nelle ultime tre gare all'Arena. Con sedici partite da giocare, la storia si può ancora ridisegnare. A patto di non mollare mai, anche dopo il novantesimo.
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