S e c'è una cosa della quale gli italiani sono profondamente convinti, e a ragione, è che lo Stato italiano sia inefficiente e corrotto. Nello stesso tempo, tendono a pensare che debba fare ancora più cose di quelle che fa.

Questa schizofrenia influenza in profondità il dibattito pubblico. Il ministro Patuanelli, per esempio, ha di recente dichiarato che quel che serve al Paese è una nuova Iri. La situazione in cui ci troviamo ha dei tratti di somiglianza con quelli in cui l'Iri, quello vero, venne al mondo. C'era stato il crac del 1929 e le crisi bancarie e d'impresa indussero il regime fascista a inventarsi questo “convalescenziario” dove parcheggiare le tre maggiori banche del Paese. Così lo Stato divenne azionista del grosso dell'industria italiana: armamenti, comunicazioni, siderurgia, costruzioni navali.

L'intervento era emergenziale ma, per citare Prezzolini, in Italia nulla è stabile come il provvisorio: ci vollero settant'anni per smantellare l'Iri, lo si fece solo sull'onda della crisi del '92-'93, in buona parte grazie al fatto che gli intrecci fra aziende pubbliche e partiti politici, con questi ultimi che nominavano i manager delle prime che a loro volta finanziavano poi loro, erano emersi in tutta la loro palmare evidenza.

Oggi la nuova Iri dovrebbe sorgere per motivi all'apparenza opposti. Da una parte, dobbiamo fronteggiare alcune crisi aziendali per le quali si invoca l'intervento “salvifico” dello Stato. Che è come dire che si invoca l'utilizzo dei quattrini dei contribuenti ma questo, si sa, a nessuno piace ricordarlo. (...)

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