A veva suscitato molto scalpore la sentenza della Corte d'appello di Ancona, che aveva assolto due giovani sudamericani accusati di aver violentato una ragazza peruviana, perché il proscioglimento era stato motivato con la non credibilità della vittima e con la sua personalità “tutt'altro che femminile, quanto piuttosto mascolina”, che, secondo i giudici, “la foto del fascicolo processuale appare confermare”. I giudici anconetani avevano motivato anche sul fatto che la ragazza non piacesse fisicamente ad uno degli imputati, tanto che ne aveva registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino sotto il nome di “vikingo”.

Su appello del Pubblico ministero, la Corte di cassazione ha ora annullato la sentenza di assoluzione, imponendo un nuovo giudizio e ristabilendo il rispetto delle regole di diritto, bacchettando come superficiale il giudizio dei giudici anconetani che avevano valorizzato elementi, come l'aspetto fisico della vittima, che in realtà sono “irrilevanti in quanto eccentrici rispetto al dato di comune esperienza” per il reato di violenza sessuale.

Inoltre, secondo la Corte di cassazione, i giudici d'appello avevano ricostruito il fatto in modo “meramente congetturale”, ipotizzando che la ragazza avesse inventato l'aggressione per giustificarsi agli occhi della madre che, al rientro a casa, l'avrebbe presa a schiaffi perché trovata ubriaca; ciò avrebbe determinato la scelta della ragazza di inventarsi la storia della violenza. (...)

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