N on ci sto. Ho appena preparato un'altra caffettiera. L'idea di tornare per votare mi riempie la testa di pensieri. Il caffè aiuta a dissipare i dubbi atroci. Libero o astenuto? Nel momento in cui mi trovo davanti alla tastiera, penso ai giovani, penso a mia figlia, all'Isola. Penso alla primavera che si approssima e le innumerevoli bellezze che la natura offrirà facendomi sentire un privilegiato catapultato altrove.

Un incubo. La vita del “disterrau” è ambigua più dei racconti migliori. Raggiunge quell'apice di serenità oggettiva che un momento dopo diventerà tristezza assoluta guardando i gambi dei primi asparagi nelle mani dei fortunati raccoglitori. Già mi vedo i cigli pieni d'erba e gli incendi quotidiani. Scoppierà un'improvvisa epidemia di zecche e i primi temporali estivi metteranno a soqquadro le maestranze dei bacini idrici. Se ne scriverà a tonnellate. Diranno che un governo, uno qualsiasi di quelli eletti solo perché votare rende nobili un paio di volte nella vita, avrà clamorosamente mancato una promessa elettorale. Quali promesse? Sfiderei dieci sardi a dirmi quale sia il fiume più importante dell'isola e quale comune ne sia il centro perfetto. Sfiderei un politico a illustrarmi le fasi salienti della mungitura e inviterei un tecnico a vivere l'esperienza di una tosatura. Senza nemmeno indagare chi abbia scritto “Il giorno del giudizio”. No. Non ci sto a farmi raccontare casa mia come se ad averla vissuta fosse un estraneo. Nemmeno essere ingannato come se a emigrare fosse stato un cugino di mia zia, troppo povero per darsi al lusso dell'esperienza. (...)

SEGUE A PAGINA 39
© Riproduzione riservata