T utto d'un fiato: voli cancellati, passeggeri sfrattati dagli aerei a un passo dall'imbarco. Furiosa ressa agli uffici doganali. Eurotunnel improvvisamente sprangato. Traffico umano e stradale piantato fino a notte fonda. Follia generale a stento sedata dalla polizia. Decine di ragazzi italiani in lacrime respinti al momento di partire per le agognate vacanze.

L'ultima decade dell'anno si apre con un allarme controverso: scoperta la variante inglese del virus Covid. Panico mondiale. Uno scivolone lessicale quanto mai palese. Assai scortese nei confronti delle norme di prammatica adottate quando la variante fu quella cinese e a più riprese strillò l'allarme del politicamente corretto. Non era trascorsa neppure la serata che lo spaventoso “virus inglese” aveva messo in allarme l'intera Europa. Oltre il chiaro difetto di comunicazione istituzionale, di rigore quando si tratta una materia così sensibile, vi era pure implicata l'imprecisione tecnica sul metodo. Il sistema sanitario inglese, di fatto, era stato il primo ad aver isolato una variante del virus - peraltro segnalata altrove - fornendo le prove di questo nuovo ceppo. Quindi una prassi scientifica che il comitato medico inglese ha prontamente comunicato. Atto necessario di prudente correttezza. Ma il dado era a quel punto tratto e, con una prontezza, apparsa ai più lezioso rigore politico, si è pensato d'isolare l'Inghilterra più di quanto il mare non ne cingesse naturalmente le coste.

U na ritorsione intricata con la confusione che ha finito per creare l'ennesimo nemico immaginario nell'abecedario dei cattivi di turno.

Ieri Londra si è svegliata sotto una pioggia greve col cielo gonfio d'interrogativi. Troppi e fitti i problemi con cui il governo si trova ora a confrontarsi. L'ultimo letargo, il durissimo “Tier 4”, allerta rossa, era stato annunciato in prossimità delle feste con decorrenza immediata. Una decisione improvvisa che aveva sconvolto le attività impegnate nei preparativi per la “bolla di Natale” garantita al fine di concedere la tregua alle famiglie desiderose di riunirsi. Qualcosa di simile a ciò che già era avvenuto in Italia: continue richieste di sacrifici ai cittadini; le concessioni alle spese natalizie; le restrizioni improvvise con le colpe attribuite agli sconsiderati untori. Una virata scriteriata che sottopone l'economia asfittica a una nuova pausa forzata seppure pagata a suon di sterline.

Troppo per l'opinione pubblica già irritata a causa del prolungato carteggio sul Brexit.

Ma torniamo indietro. Al 31 gennaio dell'anno in corso. Proprio a quel “get the Brexit done”, facciamo la Brexit, uscito dalla bocca di Boris Johnson come l'annuncio della rivoluzione alle porte. Il premier, volendo usare le scorte del trionfo elettorale appena riscosso, scoprì le carte per arrivare al “No Deal” con Bruxelles e mettere in salvo ciò che a quel punto rappresentava una strada senza ritorno. La patria e l'onore.

Il resto è attualità storica. L'epidemia, la follia generale, il mondo sommerso dalla pandemia che ha tirato su di sé le attenzioni e le strategie dei governi mondiali. Una vasca di squali. Johnson sa bene che la posta è altissima. Non si tratta solo della tassa sul parmigiano o l'addio ai bravi camerieri italiani. C'è in gioco la affidabilità della sua strategia politica. L'economia inglese, già asfittica per via del Pil schizzato al ribasso, rischia di schiantarsi senza lo straccio di un accordo con l'Europa.

Sia chiaro. Boris pagherebbe oro per riuscirci. Per lui sarebbe un successo e per molto del suo grande seguito. Ma non possiede abbastanza monete e la rete dei grandi creditori politici gli è assai esigua. Inoltre, l'aut aut di Bruxelles sull'adesione alle regole del mercato unico europeo, gli appaiono come l'affronto del vicino che si accampa in giardino senza permesso. Alle sue spalle, una pletora di elettori conquistati dall'ardore del premier osserva e aspetta la mossa decisiva. Via gli intrusi e mano ai confini. Perciò Boris la butta a mare, cercando di impiegare la propaganda per la tutela della pesca nei mari inglesi. Una industria dal peso economico esiguo ma di grande valore mediatico. Se gli riuscisse, avrebbe il popolo dalla sua parte. Definitivamente. Allora le sue carte sarebbero tutte vincenti.

Dal suo canto, l'Europa sbuffa e fatica e gioca una partita per certi versi sconsiderata. Londra è l'incontrastata piazza finanziaria d'Europa, impossibile da rimpiazzare. Una perdita che aprirebbe alla recessione conclamata e uno scenario cui Bruxelles guarda con terrore. La fuga dell''Inghilterra sarebbe quella dell'eversore che predica libertà per tutti. Con Boris o senza Boris si farà fatica. L'Europa non si piega, il Regno Unito non si spezza. Ne resterà uno soddisfatto o due infelici. No, non è il virus inglese. Sono le pretese sconsiderate di una politica ormai alle scialuppe.

ANDREA MEREU

OPERATORE CULTURALE A LONDRA
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