Maglie e giocatori moderni: il calcio che cambia
Le trasformazioni delle divise delle squadre sintomo delle trasformazioni dello sportPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
L'ultima della serie, forse l'episodio più eclatante, è quella della Nazionale. Verde, non azzurra (anche se negli anni le sfumature sono state innumerevoli: dal quasi blu al quasi celeste). Per molti, un sacrilegio. L'Italia del calcio in campo con una maglia vista una sola volta, nel 1954, in un match contro l'Argentina. E' già accaduto in diverse occasioni dallo scorso ottobre, quando la squadra guidata dal commissario tecnico Roberto Mancini ha affrontato la Grecia nelle qualificazioni per il campionato europeo. Un omaggio ai tanti giovani convocati dal ct, si disse, e a un "Rinascimento" del nostro football.
In realtà dietro il colore e il disegno scelti dallo sponsor tecnico Puma c'era una precisa strategia commerciale - catturare le nuove leve di appassionati e possibili acquirenti - rinnovando un prodotto un poco ingessato. Con tanti saluti al blasone e alla storia di una divisa indossata da decine di campioni del Mondo nell'arco di oltre cento anni.
Immaginare un'Italia che sfida il Brasile nella mitica finale (seppure negativa) del 1970 in Messico è complicato. Che dire poi del match Italia-Germania del 1982 in Spagna con Paolo Rossi vestito di verde?
Il termine "Azzurri" è da tempo di uso comune e nel calcio identifica la Nazionale, come il colore rosso nell'automobilismo è sinonimo di Ferrari. Eppure in questi tempi moderni nei quali le mode cambiano troppo velocemente pare che le radici e la storia stiano perdendo sensibilmente peso. Lo sport e i suoi protagonisti (giocatori, tifosi, società) modificano abitudini e comportamenti. A volte in senso negativo per chi è romanticamente attaccato alle origini e alla tradizione.
Molti club italiani seguendo il solco tracciato tempo prima dai grandi club europei (Real Madrid, Barcellona, Manchester United) negli ultimi anni hanno modernizzato e in alcuni casi rivoluzionato la divisa.
Se in passato era sufficiente un ritocchino (strisce verticali a volte più larghe, altre più strette) e il massimo dell'azzardo era sistemare strisce orizzontali stile rugby (Parma), ora le novità sono spesso sostanziali ma durano il tempo di una stagione.
La Juventus ha cancellato 120 anni di storia per indossare un completo in stile Udinese: metà bianco, metà nero. Con una piccola striscia verticale rosa (in onore al colore originario della maglia) a dividere le due parti. Un cambio di rotta epocale, studiato - pare - per conquistare anche altri mercati. Tuttavia sono le seconde e terze divise fare la parte del leone.
La scelta è variegata: completo simil blu per la Juve, acqua marina per l'Inter, verde o rosso per la Fiorentina (nonostante il magnifico colore viola della maglia principale), tra l'azzurro e il blu il Lecce, verde militare il Napoli, arancione l'Udinese, blu con colletto giallorosso la Roma (terza maglia).
Verde anche la terza divisa del Cagliari, che invece ha una splendida prima maglia. Insomma, un esagerato e spesso fastidioso insieme di tonalità utile solo a sfornare nuovi completi da vendere agli appassionati anno dopo anno. Così è possibile assistere a partite di cartello come Roma-Juventus con le squadre vestite rispettivamente di blu e bianco. Un tempo l'unico motivo che poteva spingere a non usare i colori ufficiali era la possibile confusione generata da squadre con divise simili (Cagliari-Genoa, Roma-Torino, Lazio-Napoli). Un'altra era.
Del resto anche i calciatori odierni sono diversi da quelli di appena 25 anni fa. L'avvento delle televisioni a pagamento, con la possibilità di vedere tutte le partite sul piccolo schermo, ha scaricato miliardi su società e giocatori, diventati i nuovi divi nazionali.
Negli anni Settanta gli atleti più bravi e conosciuti guadagnavano molto bene ma difficilmente diventavano ricchi grazie al pallone. Le magliette erano pesanti e scomode, gli allenamenti più rustici (le gambe del tedesco anni Settanta Gerd Muller sono significative), i rapporti con tifosi e stampa più liberi e semplici. Negli anni Novanta in Serie A si davano battaglia le così dette "sette sorelle", formazioni di livello più o meno simile tutte in grado - teoricamente - di vincere il titolo (Juventus, Milan, Inter, Roma, Lazio, Parma, Fiorentina).
Poi i soldi delle televisioni hanno polarizzato forza economica e sportiva in due o tre club e reso i giocatori divi (presunti tali) per i quali la pettinatura è importante quasi, se non più, della prestazione.
Ci sono i calciatori che entrano in campo con quintalate di gel e tornano negli spogliatoi con lo stesso ciuffo dopo 95' di gara. E che dire del comportamento in campo? C'è chi si lancia a terra al minimo contatto con l'avversario; rotola innumerevoli volte su se stesso distrutto da un ipotetico dolore; scatta in piedi subito dopo - miracolo - e si avvicina minaccioso all'autore del contrasto che osa negare il fallo (lesa maestà); perde tempo nelle rimesse laterali (quando la sua squadra vince) o protesta perché l'avversario perde tempo (quando la sua squadra perde); chiede l'ammonizione se non l'espulsione a ogni fallo un poco più duro del normale; corre verso l'arbitro per un qualunque motivo in qualunque momento della partita chiedendo provvedimenti contro gli avversari o spiegazioni nel caso i provvedimenti riguardino se stesso o i compagni; protesta se il pallone non viene messo fuori campo in caso di infortunio (spesso farlocco) di un compagno. Insomma, la casistica è variegata.
Eppure molte di queste stelle del firmamento calcistico non sanno come si crossa, non sanno battere le rimesse laterali, non di rado non sanno stoppare un pallone come si deve. Di recente Fabio Capello, ex centrocampista della Nazionale ed ex allenatore di Milan, Roma, Real Madrid e Juventus, ha ricordato la meraviglia nel guardare l'attaccante italiano più forte di tutti i tempi. Quaranta anni fa: a fine allenamento della nazionale italiana qualcuno crossava dal fondo e "Gigi Riva calciava al volo. Quattordici cross, quattordici tiri al volo, quattordici centri consecutivi: Gigi faceva paura". Ecco.
Giovanni Trapattoni, tecnico tra i più vincenti, ricordava spesso che negli anni Ottanta alla guida della Juventus tratteneva a fine allenamento Claudio Gentile (il difensore che annullò Maradona nel secondo girone di Spagna '82: Italia-Argentina 2-1) e lo costringeva a correre sul fondo per inseguire il pallone e mettere la palla al centro. Alla fine aveva imparato a farlo come si doveva. Oggi chi potrebbe chiedere cose simili a ragazzi che, spesso, pensano di essere già arrivati?
I Ronaldo (allenamenti anche a notte fonda), i Maldini, gli Zanetti, i Del Piero, i Riva sono rarità. Sui campi minori, magari anche nella stessa Serie A, giocano decine di ragazzi che cercano di migliorarsi. Ma l'immagine principale di questo sport è quella dei campioni. O presunti tali.
Insomma: il calcio è cambiato. E con lui i calciatori, le società e i tifosi. Le maglie da azzurre diventano verdi, i giocatori scendono dai bus ascoltando musica sparata da cuffie giganti usate per estraniarsi anche dagli stessi compagni, i dirigenti ogni tre mesi devono affrontare richieste di aumento di ingaggio (in caso di due prestazioni positive) o di cessione (in caso di sostituzione ripetuta: il "mal di pancia del calciatore"). Abbastanza per stancare i tifosi.
E quando si pensa al comportamento in campo di giganti quali Maldini, Facchetti, Scirea, Cruijff, Del Piero, Maradona (abbattuto regolarmente dai difensori, si rialzava senza battere ciglio e si vendicava vincendo le partite), Ronaldo il fenomeno, Messi, Platini, Cruijff e Gigi Riva, ti sembra che oggi giochino nani.