Nicolò Barella a cuore aperto. Il centrocampista dell’Inter e della Nazionale si racconta a 360 gradi, come non ha mai fatto, in una lunga intervista al canale Youtube del conduttore radiofonico Matteo Caccia.

Parla dell’Inter, del Cagliari, della Sardegna, parla dei problemi psicologici che anche lui ha affrontato perché nessuno  ne è esente, neanche i calciatori milionari. E, infine, parla dei funerali di Gigi Riva e di quelle critiche «che mi hanno fatto male».

Gigi Riva

«In molte cose è stato il mio maestro, ho sempre stimato oltre al giocatore gigante che è stato soprattutto la persona. Un uomo che non si è mai venduto, che la sua immagine l’ha sempre tenuta per sé o data solo a chi voleva lui. Per questo è stato molto amato in Sardegna, era il più sardo dei sardi. E se io sono così è anche grazie a lui».

Ricorda un aneddoto raccontatogli da altri calciatori: «Quando l’Italia vinse il Mondiale del 2006 lui scese dal pullman dei festeggiamenti e se ne andò a piedi, perché avevano vinto i giocatori e andavano festeggiati loro. Mi rivedo molto in questo. Io rido, festeggio, mi diverto, bellissima la festa in Duomo quando abbiamo vinto lo scudetto. Ma la festa vera la faccio con la mia famiglia, con chi voglio io».

I funerali: «Ho fatto una scelta dura, che molti non hanno capito soprattutto a Cagliari. Non sono andato al suo funerale perché tutto quello che ho vissuto con lui volevo tenerlo per me e non volevo farmi vedere davanti a tutti. Non volevo essere lì mentre lo portavano via, farmi vedere in tv con gli occhiali da sole. Ho deciso di fare altro, di organizzare una cosa con suo figlio, ho preso il mio mazzo di fiori e siamo andati al cimitero. È una mia scelta, può essere capita o no ma io sono fatto così. E sono dispiaciuto per le critiche, finché vengo criticato perché sono andato via dal Cagliari lo posso accettare, ma questo mi ha fatto male».

Calcio e psicologia

«Si sono fatti passi in avanti importanti in questi anni. Prima il calciatore era visto come un eroe, uno che non poteva avere problemi. Ora è più facile aprirsi facendo capire il proprio stato emotivo, anche con un post. La testa fa tanto. Nell’anno dello scudetto non rendevo per questioni personali, era un momento in cui non avevo grande passione per il calcio, era diventato solo un lavoro. Non mi sono mai rivolto a psicologi, ho una moglie con cui posso parlare di tutto e ho parlato anche con compagni e amici, che mi hanno aiutato a superare quel momento, dicendomi che ero forte. Poi è arrivato il gol col Napoli e ho ripreso a fare meglio».

Se la passione cala? «Sì, diventa pesante fare il ritiro, gli allenamenti, le corse. E se ti succede a 26 anni come è successo a me è un problema. Ero un po’ spaventato da questo fatto».

(Unioneonline/L)

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