È uno dei concertisti italiani più famosi a livello mondiale ed i suoi recital sono un viaggio straordinario nei capolavori della grande musica.

Uto Ughi ha la fortuna di potersi esibire nei teatri e nei luoghi d’arte più suggestivi portando con sé due tesori della liuteria italiana, un Guarneri del Gesù ed uno Stradivari.

In base alle caratteristiche della sala sceglie volta per volta quale strumento utilizzare.

L’ultimo concerto in Sardegna, organizzato dalla Cooperativa Teatro e/o Musica di Stefano Mancini al Teatro Verdi di Sassari, andò tutto esaurito.

Era il febbraio 2020 e di lì a poco l’Italia sarebbe entrata nell’incubo della pandemia planetaria.

Ad ascoltare il Maestro, in quello che fu uno degli ultimi concerti in Italia dell’epoca pre-covid, arrivarono da tutta l’Isola.

Maestro si ricorda quel concerto? Qual è il segreto per avere migliaia di persone che entrano in un teatro per ascoltare Mozart, Beethoven e altri autori della musica cosiddetta colta?

«Me lo ricordo molto bene e fu davvero emozionante, per la situazione di spaesamento che si iniziava a percepire, in particolare nel Nord Italia, e per il meraviglioso pubblico sardo. Per quanto riguarda la seconda domanda le dico che non c’è una ricetta predeterminata, sono svariati elementi insieme. Intanto devo dire subito che sono molto felice che ancora tante persone ascoltino con grande interesse musica straordinaria composta da autori geniali come Mozart e Beethoven. Al giorno d’oggi non è un fattore così scontato: è bello che si conservi il gusto delle cose vere e delle cose autentiche nonostante le difficoltà della vita quotidiana. E questo aiuta molto la fruizione di un concerto sinfonico o cameristico, perché esiste sempre un pubblico colto e particolarmente attento al bello».

Che rapporto ha con la Sardegna?

«A parte la natura, che credo sia unica al mondo, trovo che la Sardegna sia popolata da gente meravigliosa, persone schiette e dotate di una rudezza quasi Beethoveniana. Apprezzo molto la spontaneità e la sincerità dei sardi. E sono un grande estimatore di quella che fu una delle più grandi scrittrici di sempre, Grazia Deledda, ho letto ed ho apprezzato moltissimo Canne al Vento. Pensi che comprai alla fine degli anni ’90 una casa in un luogo stupendo, a Porto Rafael. Purtroppo in quel periodo ero spesso lontano per via dell’attività concertistica ed in un momento di particolare stress fui spaventato dalla forza del vento che risuonava nella casa. Quell’episodio mi convinse stupidamente a venderla e ora non immagina neanche cosa farei per riavere quella proprietà».

Lei è senza dubbio uno dei musicisti italiani più famosi e richiesti al mondo: come vive questo successo che dura da più di 50 anni?

«Potrei definire Il successo come una conseguenza di un durissimo lavoro, anche se non si è mai contenti di quello che si conquista col passare del tempo. Quando pensi di aver raggiunto un certo ideale di bellezza, il giorno dopo ti sembra che ti stia sfuggendo via».

Lei è un grande divulgatore della musica, soprattutto tra i giovani. Cosa si potrebbe fare di più per avvicinare un nuovo pubblico al repertorio cameristico e sinfonico?

«I giovani hanno una sensibilità aperta quando non è guastata da musiche negative o distruttive, come le definisco io, soprattutto i più piccoli, quelli che frequentano la scuola primaria. A questa età, quindi nella fascia tra i sei e gli otto anni, hanno la mente più ricettiva e sono più facilmente indirizzabili verso un genere musicale, come il repertorio sinfonico e cameristico, con l’intento di farglielo scoprire in modo da lasciare loro una traccia positiva che poi potrà riaffiorare nell’età dell’adolescenza. A me piace moltissimo il contatto con i giovani perché posso spiegare a parole il significato di una composizione che devo interpretare. Questo dialogo mi consente di anticipare in qualche modo le sensazioni che si generano nell’ascoltatore grazie all’unione tra la melodia e l’armonia creata dall’autore».

Qualche tempo fa un suo commento sui Måneskin ha animato un acceso dibattito su tutti gli organi di stampa scatenando una vera e propria guerra sui social. Perché ha scelto proprio loro?

«Non ce l’ho in modo particolare con i Måneskin, me la prendo con chi urla e strepita invece di fare musica nel senso più alto del termine. Con questo non voglio discriminare i generi, perché io apprezzo molto anche la musica popolare, fonte di ispirazione per grandissimi compositori, sia del passato che del presente. Se un artista pretende di fare musica strillando senza uniformarsi a regole generali di buon gusto e di rispetto di parametri universali non potrà trovare la mia approvazione artistica: credo sia difficile, per un ascoltatore medio, di cultura musicale anche basica, riprodurre a memoria una melodia sconnessa e urlata».

In passato si era espresso su Giovanni Allevi suscitando un analogo dibattito. Ha saputo che ora il pianista e compositore sta combattendo contro un mieloma?

«Si ho sentito di questa malattia e mi dispiace davvero tantissimo».

Quando tornerà a suonare in Sardegna?

«Spero prestissimo, la vostra terra è uno dei luoghi più belli del mondo e vengo sempre molto volentieri anche se mi manca tanto quella bellissima casa di Porto Rafael».

L.P.

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