Un coinvolgimento ardito e viscerale come quello di Darren Aronofsky capita di rado nel modo di far cinema. Impressionando fin dai suoi primi titoli, a cominciare dal criptico esordio con “Pi Greco - il teorema del delirio” passando per l’angosciante “Requiem for a Dream”, il director ha saputo ritagliarsi in breve tempo un’attenzione mediatica non trascurabile; merito del suo inconfondibile tocco autoriale che in maniera diretta, sfrontata e talvolta disturbante ha messo in luce temi come la tossicodipendenza, la devianza mentale e l’emarginazione sociale.

Raggiunta la fama internazionale col il ritorno sul set di Mickey Rourke nel toccante “The Wresler”, Aronofsky s’è guadagnato il plauso della critica ricevendo il premio Oscar alla miglior attrice protagonista per “Il Cigno Nero”, e più recentemente la statuetta al miglior attore protagonista per “The Whale”. Oltre al merito di aver rilanciato brillantemente la carriera ad alcune stelle del cinema date per disperse, la sua notorietà è dovuta anche alle critiche avanzate da una fetta di detrattori; come accade spesso a quegli artisti che - portatori di un linguaggio radicale - suscitano sorpresa e sgomento per il coraggio dimostrato con le loro creazioni.

Accolto all’ultima edizione del CinemaCon di Las Vegas, ha presentato in anteprima con un trailer il suo ultimo “Caught Stealing”, crime thriller ambientato nella New York degli anni 90 con protagonista la star in ascesa Austin Butler. Differendo a prima vista dallo stile dei precedenti titoli, la pellicola affronterà la storia di sopravvivenza dell’ex giocatore di baseball Hank Thompson, finito in un barato di alcolismo e dissolutezza dopo un infortunio alla gamba. Lavorando come barista in un locale, l’atleta si troverà a che fare con la malavita metropolitana, rimanendo coinvolto in una caccia al tesoro che lo esporrà tanto alla criminalità quanto alle ripercussioni legali. Ospite durante l’evento, il cineasta ha dichiarato con tono nostalgico sul film: “Mi ha riportato indietro nel tempo facendomi ricordare come ci si sentiva a girare un film negli anni 90. L'ho realizzato perché era qualcosa di diverso ed era molto divertente”.

Anche per ciò che riguarda le opinioni personali, Aronofsky non ha mai dimostrato di avere filtri o mezze misure, e dopo un’esperienza pluriennale a stretto contatto con interpreti di prima fascia ha appreso bene la sottile arte della direzione attoriale. Nel corso di una recente masterclass alla Cinémathèque Française di Parigi, non ha potuto esimersi in questo senso dall’esprimere qualche considerazione sui metodi di recitazione adottati ad Hollywood. Schierandosi apertamente contro il Metodo Stanislavskij, Il director lo ha definito in maniera categorica soltanto “un modo per nascondersi, invece di fare il proprio lavoro in modo professionale”.

A suo giudizio, infatti, l’attore dovrebbe principalmente allenarsi alla giusta preparazione tecnica, piuttosto che cercare d’immergersi ossessivamente in un personaggio. Su questo aspetto, ha affermato in particolare: “Recitare è far finta. Se devi fare una scena intensa, va bene rimanere concentrati tra un ciak e l'altro, ma non serve vivere nel personaggio h24. Non è così che funziona. È come nel basket, per essere un grande giocatore non devi palleggiare tutto il tempo”.

E riferendosi esplicitamente agli attori “metodisti”, alludendo senza remore alla recente collaborazione con Butler, ha tenuto tuttavia a precisare: “Se un attore vuole lavorare così, va bene, purché non diventi debilitante per il resto della troupe. Io, nel dubbio, li incoraggio a rilassarsi un po’”.

Tornando invece a parlare della sua ultima fatica, ha definito “Caught Stealing” “un bellissimo esercizio di genere, come lo è stato Black Swan”, spiegando in particolare di aver concepito il film intorno alla figura di Austin Butler: “È lui il nostro perno. Abbiamo costruito il mondo intorno a lui”. Parlando più in generale del modo di girare una pellicola in relazione ai tempi che corrono, e orientandosi a trovare la luce laddove si annida il buio, ha poi aggiunto: “Nel 2000, quando ho girato Requiem, la persona più famosa al mondo era Paris Hilton. Ora è Trump. E questo mi obbliga a cercare ancora di più ciò che ci unisce, a essere ottimista”.

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