Giuseppe Vessicchio, per tutti Peppe, il Maestro per eccellenza di Sanremo, il direttore d’orchestra più amato dagli italiani.

Il pubblico televisivo lo identifica con questo ruolo ma il Maestro napoletano è una delle personalità più importanti del panorama musicale nazionale.

Nel corso della sua carriera ha collaborato con i massimi interpreti della canzone d’autore.

Vessicchio è considerato un genio dell’arrangiamento ma è anche un prolifico compositore, un direttore carismatico ed una delle sensibilità più spiccate della canzone d’autore.

Pluripremiato a Sanremo come miglior direttore d’orchestra in ben quattro edizioni, nel 2017 e nel 2018 ha fatto parte della commissione che ha scelto i brani del 60° e 61° Zecchino d'Oro.

Tra le più importanti esperienze internazionali va ricordato il concerto al Cremlino per ricordare John Lennon.

Il feeling con il pubblico lo ha conquistato negli anni con la modestia e l’umiltà che solo i grandi possiedono nel proprio animo di artisti veri.

Lo abbiamo incontrato prima del suo concerto a Cagliari protagonista della tre giorni “Il Grande viaggio insieme”, l’itinerario nazionale nel sociale fatto di musica, incontri, dibattiti, show cooking e sport, approdato in Sardegna per volontà di Valter Geri e Michele Orlandi, rispettivamente presidente e direttore della rete Conad del Tirreno.

Nel corso del suo mini tour sardo Vessicchio ha diretto l’Orchestra “I Solisti del Sesto Armonico”, una compagine cameristica con Gennaro Desiderio e Zita Mucsi violini, Nicola Ciricugno viola, Zsuzsanna Krasznai violoncello, Igor Barbaro contrabbasso, Antonio Loderini fisarmonica, Alessandro Tomei flauto e sax soprano, Angela Cosi arpa, le voci soliste di Antonio Granato, Teresa Italiano e Giacinta Nicotra, la sand artist Simona Gandola e la produzione esecutiva di Andrea Rizzoli per Eterea Omnis con Vittoria Merci tour manager.

Con Claudio Baglioni
Con Claudio Baglioni
Con Claudio Baglioni

Maestro Vessicchio, una carriera costellata di successi, ma quando ha pensato di avvicinarsi alla musica il pentagramma era già una tradizione di famiglia?

"In casa si faceva musica per tradizione, come spesso accade nelle famiglie napoletane.

Si impara a suonare uno strumento, o più strumenti, grazie alla bontà di qualche parente o amico che ti passa l'informazione. Diciamo prevalentemente per tradizione orale.

Mio fratello aveva questo dono.

Lui accompagnava il canto con la chitarra, la fisarmonica, il mandolino ed il violino.

Quando la domenica pomeriggio, dopo aver pranzato con le zie, le sorelle il mio padre, si faceva musica tutti insieme scattava l’occasione per imparare e analizzare ciò che veniva eseguito, anche se analizzare è già una parola evoluta.

Più correttamente direi che nel divertimento ci si misurava con la propria crescita di apprendimento grazie al vastissimo e formativo repertorio della canzone napoletana.

Mi sono quindi ritrovato a conoscere composizioni per osmosi perché realmente uno straccio di spartito di qualcuno di quei brani che suonavamo non lo avevo ancora visto.

In seguito, una volta intrapresi gli studi, mi ha fatto molto comodo cercarne le tracce nei pentagrammi, capire quale era il pensiero dell'autore per poi poter valutare quanto la tradizione popolare avesse operato modifiche benefiche o meno, così come è accaduto per il più nobile teatro d'opera.

Quindi diciamo che la musica l'ho incontrata inizialmente in via amichevole, familiare e poi, da un certo punto in avanti, è arrivato l’impegno e lo studio motivati dalla volontà di saperne sempre di più".

Cosa pensa del grado di istruzione della popolazione italiana?

"Una volta eravamo i numeri uno. Bisogna sottolineare che i conservatori sono nati qui da noi.

I quattro conservatori di Napoli rappresentavano una vera eccellenza. In Italia pochi altri, ma nel resto del mondo non ce n’erano altri.

Il primo Conservatorio europeo è nato alla fine del 1.700 segnando più di 200 anni di primato assoluto. Eravamo titolari di una scuola di musica e di composizione affermatissima, basta leggere le lettere del papà di Mozart che diceva al figlio di non lamentarsi se Ferdinando di Borbone non lo avesse accolto nella Reggia principale ma in quella estiva di Portici.

Del resto cosa si poteva aspettare da una città che contava innumerevoli compositori e oltre 200 maestri?

E allora suggeriva al figlio di puntare alla città di Parigi dove i maestri erano quattro ed i compositori ancora meno".

C'è qualcosa che si potrebbe fare oggi per migliorare la cultura musicale dell'italiano medio?

"Quello che ho citato rappresenta una premessa ahimè ad oggi totalmente disattesa. Fino agli anni Quaranta i conservatori hanno funzionato abbastanza bene.

Lo testimoniano le eccellenze sia tra i docenti che tra gli allievi. Le loro opere, didattiche o artistiche, parlano chiaro circa il percorso di apprendimento sano e proficuo del quale hanno goduto.

Successivamente si è rotto qualcosa.

Fino a quando la musica è stata considerata come un’attività non conforme al lavoro vero e proprio, così come oggi lo si intende, il musicista era animato da motivazioni più pure proprio perché il rischio di una incerta occupazione era stato consapevolmente accettato e sul piatto della bilancia, contrapposto alla passione, pesava meno dell’altro.

Spesse volte in gioventù è successo che mi chiedessero di cosa mi occupassi nella vita.

Alla risposta 'Il musicista', replicavano alla domanda spiegandomi che intendevano conoscere cosa facessi per lavoro, perché un lavoro non era considerato".

E le cose sono cambiate?

"Ho la sensazione che oggi abbiamo una serie di congetture relative all'istruzione musicale tali da far passare in secondo piano i principi fondamentali della formazione degli allievi privilegiando sempre più l’obiettivo occupazionale dei docenti. Le prove di ammissione sono sempre più blande e i debiti scolastici perdurano per anni. Un buon numero di nuovi allievi iscritti, anche se privi di necessario talento, rappresenta la sopravvivenza di alcuni istituti pubblici che altrimenti rischierebbero la chiusura come le Province. I direttori di conservatorio oggi sono chiamati dirigenti, come si usa nelle aziende, quindi gli studenti sarebbe più giusto chiamarli clienti. Anche perché si paga, e non poco, per ricevere questo tipo di istruzione. Mi si dice che devono essere considerati come un corso universitario (infatti con la nuova riforma bisogna aver compiuto 18 anni per poter avanzare richiesta) e che per accedervi è sufficiente frequentare il liceo musicale, da qualche anno in funzione.

Una riforma fatta in corsa per ottemperare ad obblighi emersi nel confronto con altri paesi europei. Qualcosa non funziona. Sembra che la priorità assoluta l’abbia assorbita l’esigenza di occupare i tanti insegnanti a spasso delle materie liceali più diffuse. La musica ha bisogno soprattutto di essere praticata. Studiata e praticata, praticata e studiata. Incessantemente".

Con Fabio Fazio e Luciana Littizzetto
Con Fabio Fazio e Luciana Littizzetto
Con Fabio Fazio e Luciana Littizzetto

E dei licei musicali cosa pensa?

"Allo stato attuale il liceo musicale prevede una sola ora a settimana di strumento principale.

Un’assurdità. Sarebbe come dire che invece del liceo scientifico io ho frequentato un liceo religioso grazie all’unica ora di religione che c’era nell’orario settimanale. Qualcuno mi risponde che però ci sono diverse ore di pratica d’insieme... se non impari prima a parlare in maniera sufficiente come puoi trarre vantaggi da un confronto verbale con altri? Immaginate i bambini che sanno sillabare o riescono a farsi capire in maniera approssimata e immaginate di convogliarli in una esperienza di confronto... c’è anche il rischio di consolidare abitudini sbagliate perché mediamente funzionanti. Musica d’insieme sarebbe da prevedere dopo un periodo di adeguata formazione individuale".

Tirando le somme...

"... chi conosce la musica e l’ha praticata sa bene che non si può andare da nessuna parte con una sola ora di strumento principale alla settimana.

Impossibile avere i risultati che in passato hanno fatto grande l'Italia nella cultura musicale e che oggi invece la relegano indietro ad altre".

Oggi, grazie all’impegno di alcune personalità tra cui Mogol, l’insegnamento del pop è entrato nei Conservatori. Una vittoria della musica popolare o la certificazione del declino della musica cosidetta colta a partire dal secondo dopoguerra? E la distinzione dei generi è destinata a scomparire visto che Mozart resiste da 300 anni mentre delle nuove musiche accademiche non si sa più nulla se non in circuiti di nicchia di pochi addetti ai lavori?

"Già oggi, di certa musica contemporanea non ne ricordiamo più una nota... figuriamoci tra qualche centinaio d’anni.

Probabilmente penseranno che erano degli esercizi provocatori. Solo che dopo la provocazione devono arrivare i fatti. Non possiamo ricordare più di un secolo solo per la provocazione dell’intelletto.

Con i suoi azzardi (in relazione ai suoi tempi) Debussy creò procedimenti ritenuti errati.

I suoi errori rappresentarono un punto di riferimento per un certo tipo di impressionismo.

Tornando alla musica leggera penso che è sì una conquista all'interno dei conservatori ma bisognerebbe rifondare il metodo e gli obbiettivi".

In che modo?

"A parer mio, il metodo seguito in Conservatorio non dovrebbe ripercorrere il modo di apprendere la musica leggera così come si farebbe in una cantina o altro luogo carbonaro, privilegiando forme sintetiche di analisi armonica, tenendola scollegata dalla storia dell’armonia della musica. La musica è una sola. Quella di sempre. Di oggi come di allora. Bisogna che chi di dovere si renda conto che un istituto che voglia compararsi con gli antichi fasti della nostra cultura musicale, ha l’obbligo di promuovere la conoscenza dei valori di sempre, grammatica e sintassi, sviluppando i linguaggi avvalendosi di un confronto continuo con quello che ci precede e non tranciando i legami vitali che la innervano. Bisognerebbe appunto creare la musica leggera del conservatorio".

E che messaggio si può lanciare a chi di dovere?

"O hanno dimenticato la nostra storia o non sanno nulla di quello che probabilmente dovrebbero sapere per presiedere alcune cariche o alcune funzioni dirigenziali della cosa pubblica.

Lo dico senza timori perché è un dato di fatto.

Qualcuno giustifica dicendo che ci siamo dovuti allineare alla normativa europea.

Allora dico a questi signori che dovrebbero andare all'estero per toccare con mano e conoscere ciò che fanno in altre realtà didattiche. E che poi tornino e si diano da fare per offrire ai giovani una reale opportunità di istruzione della materia, classica o leggera che sia.

Sembra che dall'estero si vada a prendere solo quello che in qualche modo aiuti a ricombinare i numeri che sono stati scompigliati dalla burocrazia malata e della quale non se ne può più.

Ripeto, per me la musica leggera insegnata al Conservatorio dovrebbe essere davvero 'la musica leggera del Conservatorio', anche perché è inutile che un alunno si iscriva per tentare di fare quello che Vasco Rossi ha realizzato per altre vie.

Perché quello del conservatorio non è il percorso né per diventare Vasco Rossi, né per essere Tiziano Ferro".

Da dove si inizia?

"Cominciamo a far sapere ai ragazzi che non è la strada per ottenere questo miraggio bensì di consolidare la propria. Indigenza col linguaggio tale da poterlo declinare nella forma che gli è più congeniale... e che inevitabilmente apporta più gioia. Vanno bene il CET di Mogol, il COM di Mussida, ma il conservatorio deve fare altro e di più.

Alcune musiche sono come l'erba spontanea. L’erba spontanea è spontanea e basta. Se la coltivi devi andare avanti e non puoi smettere di sviluppare le tue tecniche.

Il resto è un’illusione e rischiamo di prendere in giro troppi ragazzi e le loro famiglie perché i giovani spesso pensano: vado al Conservatorio, mi prendo una laurea.

Sperando che quel pezzo di carta possa valere qualcosa.

Invece quel pezzo di carta non conta niente se non affiancato ad una reale competenza.

Forse potrà servire ad avere nuovi insegnanti che l’unica cosa che avranno tra le mani non sarà uno strumento ma, appunto, un pezzo di carta... sempre utile in un concorso per l’insegnamento".

L’essere napoletano, e quindi appartenente a una cultura che ha sfornato una musica conosciuta in tutto il mondo, l’ha in qualche modo aiutato a essere il grande artista che è oggi?

"Secondo i medici ayurvedici noi siamo quello che mangiamo.

Sono stato molto fortunato perché sono nato in una città che da sempre si nutre di musica.

Io sono quello che ho ascoltato. Dentro e fuori casa.

Chi ha respirato quest’aria e ha pulsioni creative di valore, vedi Pino Daniele, può coniugare i linguaggi lontani con quelli delle radici godendo di espressioni uniche, particolari, originali.

Ma questo non riguarda solo Napoli".

Riguarda anche la Sardegna?

"Sì. Non perché in questo momento mi trovi in Sardegna, ma l'unica altra realtà veramente originale, in possesso di un’identità radicale, forte e che fa riferimento a se stessa, così come avviene a Napoli, è la Sardegna.

Sono due 'regni' che devono fare i conti con la 'nazionalità dei linguaggi' e che devono poter utilizzare strumenti aggiuntivi legati ai propri valori tradizionali.

Così come si fanno le Regioni a statuto speciale andrebbero istituiti, a mio avviso, i Conservatori con tale caratteristica per approfondire tutte le ragioni della propria musica, della propria arte visto che, indiscutibilmente, vantano un patrimonio e godono di un'espressione unica è incomparabile".

Lei è un po’ l’icona musicale del Festival di Sanremo dagli anni ’90 a oggi. Cosa le ha dato Sanremo e cosa Lei ha dato al Festival?

"Sanremo mi ha dato molto perché innanzitutto mi ha regalato una ritualità annuale.

Se l'uomo ha avuto bisogno di scandire le giornate in settimane, mesi e così all'interno di questo gioco ha potuto inserire Natale, Capodanno e l’Epifania, a me Sanremo ha regalato la possibilità di aggiungere il Festival prima di Pasqua.

Una ritualità che ho vissuto con la mia famiglia, con i miei amici e che mi permette di incontrare colleghi che altrimenti non vedrei durante l'anno perché il lavoro ci porta in territori diversi.

Quindi per me è sempre stata una bellissima occasione e mi ha anche regalato una enorme popolarità visto che ho raggiunto i 25 anni di partecipazione.

Paradossalmente, la visibilità più eclatante l’ho ricevuta proprio nell’edizione quando sono mancato, forse potrei dire che il ventiseiesimo, quello vissuto fuori dal palco, è stato l'anno di maggiore notorietà".

Qualche ricordo particolare?

"Sanremo è stata anche una straordinaria occasione per osservare alcuni processi spettacolari dal di dentro, per conoscere artisti fenomenali nonché per trarne conclusioni importanti sui valori dell’uomo che deve confrontarsi con questa realtà.

Mi viene in mente l’incontro con Elio e le Storie Tese.

E poi la consumata abilità di Pippo Baudo, un uomo da apprezzare per quello che ha dato, preso e ridato in continua evoluzione con se stesso in questa sede.

E, ancora, l'abilità di alcuni operatori nel portare acqua al proprio mulino e mi riferisco agli autori, funzionari e conduttori della televisione perché il piccolo schermo è un fenomeno davvero particolare. Bello e pericoloso.

Il festival mi ha dato tante opportunità di incontro. Da Luciano Pavarotti ad Al Jarreau, mondi opposti.

Da Elio e le Storie Tese a Fiorella Mannoia - da Gal Costa a Vecchioni, dagli Avio Travel a Noa da Mango a Mia Martini.

E lei cosa ha dato al Festival?

"Io non ho fatto altro che il mio lavoro.

Azioni reiterate per anni offrono la possibilità di esercitare la propria coerenza. Sono rigoroso con me stesso figuriamoci con davanti un uditorio così vasto. Non ho mai abbassato la guardia.

Posso pensare che questo mio tratto sia un elemento rassicurante per i telespettatori. Forse non ricevono mai azioni o parole incoerenti con quello che mostro di essere".

Ci racconti qualcosa sul suo libro “La musica fa crescere i pomodori. Il suono, le piante e Mozart: la mia vita in ascolto dell'armonia naturale” edito da Rizzoli.

"La musica fa crescere i pomodori è l'inizio di una nuova strada.

La musica ha poteri straordinari e andando avanti, dai pomodori in poi, non posso far altro che accorgermene e testimoniarlo sempre di più.

E lo dico non solo alla luce delle sperimentazioni eseguite nel Wisconsin sulle vacche, sui topi, sugli umani e in altre università attraverso quello che chiamano l'effetto Mozart (è il compositore che offre questo tipo di sorprendenti risultati) ma anche per alcuni dati di laboratorio che sono riuscito a visionare proprio in questi giorni.

Sono risultati ottenuti con alcune attrezzature speciali che confermano il potere dell'armonia coerente come stimolo per una catarsi ristrutturativa dei propri legami sinergici.

Quando una musica risponde ad un sistema coerente che la anima, diventa un elemento di sollecitazione a ottimali coerenze di alti organismi viventi quali piante, vino, olio, ecc.

Quindi il benessere sta proprio nell'equilibrio di tutte le funzioni.

Del resto è così anche nelle famiglie.

Dovremmo imparare che partendo dal piccolo nucleo è possibile arrivare al tutto.

Se è coerente l’atteggiamento tra i membri di una famiglia, allora l’amore è assicurato".

L.P.
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