«I dati israeliani ci dicono che gli ultrasessantenni possono trarre giovamento da una terza dose. Credo che questo dipenda dal fatto che ci sono persone che hanno ricavato scarsi benefici dal vaccino». Massimo Galli, infettivologo all’Ospedale “Sacco” e docente alla “Statale” di Milano, vede ormai vicino il traguardo della pensione dopo una lunga battaglia, con le armi della scienza, prima contro l’Aids e adesso contro il Covid. «Sul richiamo, che è il tema del momento, credo che ci sia bisogno di valutazioni attente. Occorre evitare generalizzazioni. Non mi pare opportuno dire che sia necessario somministrare la terza dose a tutte le persone sopra i 65 anni».

Per chi sarebbe necessaria la dose di richiamo?

«Per i pazienti con un quadro di immunodepressione. Si è visto per esempio che le persone con un trapianto di midollo hanno una ridotta protezione (4%) dopo la prima dose di vaccino. Rispondono meglio dopo la seconda (44%), meno di un caso su due, e in misura superiore, 68%, dopo la terza dose. C’è una quota del 32% che non riceve protezione dai vaccini».

Come possono essere protette le persone che rientrano in questa fascia?

«Bisogna trovare strategie diverse. Puntare, per esempio, sul trasferimento di immunità passiva, vale a dire utilizzare anticorpi monoclonali preformati per garantire a chi si trova in determinate condizioni la possibilità di una protezione. È un sistema che non si può applicare in modo esteso ma può essere efficace per pazienti immunodepressi e anziani con più patologie».

Quali sorprese potrebbe riservare l’autunno?

«Si verificheranno nuovi casi a causa della variante molto contagiosa che sta circolando. Tutto questo provocherà qualche problema sul piano della gestione sanitaria, ma con effetti meno gravi rispetto allo scorso anno. Ora sono tante le persone vaccinate e siamo in grado di far fronte con maggiore efficacia e tranquillità alle richieste di ricovero».

Ancora tanti non vaccinati tra no vax, pochi, ed esitanti.

«Alcuni di loro probabilmente cambieranno idea per il fatto di non poter accedere, senza il vaccino, a tante attività sociali. C’è qualcuno che si sta attrezzando per fare i tamponi ma la situazione rischia di diventare insostenibile in tempi brevi. Fare tre tamponi alla settimana è molto complicato. Quelli che si ostinano a mantenere questa posizione sono no vax, duri e puri, e soprattutto persone che hanno fobie e paure di vario tipo, diffidenze che resistono alle giuste argomentazioni della scienza».

Professore, sarà in pensione tra poco. Che cosa farà?

«Quello che ho sempre fatto tranne, e non è poco, che occuparmi dell’organizzazione e delle direzione di una grossa unità operativa ospedaliera e delle attività universitarie correnti. Ma continuerò a studiare e a dedicarmi alla ricerca e alla formazione e a vedere i miei pazienti».

Ora è diventato pubblico con una grande visibilità?

«È un fatto innegabile e a volte anche abbastanza imbarazzante. Devo dire che in tanti manifestano nei miei confronti sostegno e apprezzamento e queste manifestazioni certamente mi lusingano. Devo stare attento a quello che faccio, ovunque vada. Le persone vengono da me, mi salutano, mi chiedono un selfie. È un modo diverso, a cui non ero abituato, di confrontarmi con gli altri».

Che cosa ci ha insegnato la pandemia?

«Io spero che la memoria dei politici e dei responsabili dell’organizzazione sanitaria non sia come quella del pesce rosso. Ma anche la memoria degli italiani quando arriverà il momento di scegliere a chi affidare determinati compiti. Ci siamo resi conto che c’è da molto cambiare per poter essere in condizioni migliori in futuro, non solo per affrontare emergenze sanitarie di questo tipo, ma anche per per gestire l’attività quotidiana. Mi auguro che la lezione sia stata compresa e che si possa andare avanti, oltre l’orizzonte del Covid, con le giuste scelte, quelle di cui il sistema sanitario ha bisogno».

Massimiliano Rais

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