La domanda è lecita. Lo è ancora di più se a porla è nientemeno che l’Istituto Superiore di Sanità, il braccio tecnico scientifico della sanità pubblica in Italia. Un quesito che apre scenari inquietanti su scelte gravi e inconfessabili imposte sulla testa della Sardegna e dei Sardi. Non è un caso che il vertice scientifico della sanità italiana, con ben nove firme autorevoli in calce, esprima un parere contrario, senza se e senza ma, alla realizzazione a Portovesme di un rigassificatore ibrido, che in teoria dovrebbe galleggiare ma che, invece, risulterebbe totalmente ancorato alla terra ferma, quella del porto della zona industriale del Sulcis.

Le domande pesanti

Ancor prima di entrare nel merito dei rischi e pericoli di quell’alambicco per produrre gas gli scienziati del dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto si pongono un quesito sferzante, già di per sé tranchant: per quale motivo in tutta Italia i rigassificatori galleggianti sono posizionati in mare aperto, mentre in Sardegna lo volete attaccare per forza nella zona industriale a ridosso del centro abitato di Portoscuso? Non basta la domanda. I medici dell’Istituto Superiore richiamano i casi uno per uno: il rigassificatore offshore di Rovigo Porto Viro a 15 km dalla costa, l’impianto di La Spezia collocato ad un’estremità del porto distante circa 2 km dalle aree abitate, il rigassificatore offshore di Piombino a circa 22 km dalla costa.

Repubblica strabica

Quando mettono nero su bianco il parere per il Ministero della Transizione Ecologica non sono affetti da timori reverenziali, anzi: «L’installazione dell’impianto che prevede la presenza di una unità FSRU all’interno del piccolo porto di Portovesme rappresenta un’anomalia rispetto agli analoghi impianti di rigassificazione già presenti in Italia». Emerge, insomma, una Repubblica “strabica” dove si continuano ad utilizzare due pesi e due misure: nel resto d’Italia i rigassificatori si fanno galleggiare a largo, in mezzo al mare, in Sardegna, invece, si attraccano in un porto dove, per 15 volte al giorno, attraccano i traghetti carichi di passeggeri da e per Carloforte. Come se la tragedia della Moby Prince, con la collisione con una petroliera, fosse solo un romanzo drammatico di fantasia. E non è un caso che il “Dipartimento Ambiente e Salute” dell’Istituto di Sanità richiami il carico che dovrebbe sopportare quel minuscolo porto industriale, già sottoposto ad uno stress pericoloso per l’incauta sopravvivenza del traffico industriale con quello passeggeri. Il cuore dell’attacco scientifico, però, è tutto sul tipo e sui risultati delle analisi fatte per supportare quel progetto di unità galleggiante da attraccare a Portovesme. C’è un filo conduttore che l’Istituto contesta apertamente al soggetto proponente: quella nave gasiera trasformata in rigassificatore non andrebbe ad insediarsi in una realtà “vergine”, ma si tratta di una delle aree più compromesse e inquinate del Paese.

Oasi d’inquinamento

Un inquinamento che nelle valutazioni dell’organo scientifico dello Stato emerge come grave, non analizzato e mimetizzato, come se lì intorno ci fosse un’oasi paradisiaca di benessere ambientale. Non è così. L’Istituto lo dice senza mezze misure: non è un problema di qualche decimale in più o in meno dell’inquinamento, ma è la sommatoria di tutti i fattori inquinanti che si concentrano per una tempesta pericolosissima per la salute umana. Lo scrivono apertamente, quasi a segnalare la pochezza dell’attenzione posta sulla questione ambientale e sulla salute. Scrive l’Iss: «Ai fini dell’impatto sulla qualità dell’aria per le conseguenti stime di impatto sulla salute, dovrebbe essere condotto uno studio complessivo di come cambieranno le condizioni ambientali tenendo conto di tutti gli interventi che sono stati autorizzati e proposti nell'area, valutando il contributo delle emissioni da sorgenti convogliate e diffuse, fisse e mobili».

Smemorati

Come dire: vi siete dimenticati di considerare che si tratta di un’area industriale dichiarata «ad alto rischio ambientale». Gli scienziati dell’Istituto non svelano i retropensieri, ma certamente non avranno gioito quando si sono accorti che «il documento trasmesso include un aggiornamento sullo studio di qualità dell'aria che comunque si ferma al 2020, anno non rappresentativo delle concentrazioni ambientali a causa del lockdown che ha ridotto la funzionalità di molte attività pubbliche e private, industriali e civili». Nel parere contrario alla realizzazione dell’unità galleggiante è sostanzioso l’elenco dei “buchi” nelle indagini proposte per l’approvazione del progetto: «Si deve sottolineare che la proposta avanzata per la valutazione eco-tossicologica per essere considerata esaustiva manca di una indagine riferita alla matrice suolo, inoltre nella batteria per le acque marine non viene inserito nessun saggio di genotossicità, che potrebbe, invece, fornire informazioni utili e di allerta per la salute umana».

Salmonella cercasi

Non gli basta e aggiungono: «Infine, non può risultare sufficiente un solo campione per il comparto acque marine e la proposta di applicare solo il saggio di “Salmonella” per gli anni successivi risulta troppo riduttivo per avere un quadro che sia in grado di segnalare variazioni di allarme per l’intero sistema». In pratica, non solo non avevano previsto l’esame chimico-fisico del terreno, ma per “campionare” la qualità ambientale nel futuro si sarebbero affidati solo all’esame della «salmonella». È quando entrano nel merito delle condizioni ambientali e dei rischi per la salute umana che la posizione si fa severa e senza appello: «Infine è stato calcolato il rischio cancerogeno esistente» relativo a diversi valori, quelli dei “particolati” atmosferici e del Benzene, e ne mancherebbero altri, ed entrambi i dati «già superano il valore di riferimento di rischio incrementale per le sostanze cancerogene singole e conseguente anche di quello cumulativo».

Rischio respiratorio

La sintesi è durissima: «L’opera in esame porterà ad un aumento di emissione per inquinanti che hanno un effetto anche sulle patologie dell’apparato respiratorio». C’è di più nel parere dell’organo scientifico: «nel complesso le valutazioni delle emissioni e degli impatti sulla salute siano, per alcuni aspetti, sottostimate rispetto a quanto realmente previsto nell’area». Infine la sentenza: «Si ritiene che il progetto proposto non sia idoneo per questo territorio in quanto capace di determinare un impatto, in particolare sulla matrice aria, che va ad aggiungersi a quello già presente e previsto con la riattivazione di altre sorgenti di emissione industriale. Questa situazione determina un contributo aggiuntivo alle concentrazioni ambientali degli inquinanti in aria, che si riflette in un aumento dell’esposizione per la popolazione residente, a fronte del quale si configura la possibilità di rischi non trascurabili per la salute, soprattutto considerando che tale popolazione presenta già alcune fragilità per effetti sanitari possibilmente associabili agli inquinanti emessi dalle attività correlate al progetto proposto». Il dispositivo finale è una condanna: «Il progetto presentato non è condivisibile ai fini della tutela della salute della popolazione residente nell’area».

Odissea “Arctic”

L’odissea della Golar Arctic non è finita. La pioggia di pareri contrari che imperversa al Ministero della Transizione Ecologica dovrebbe indurre tutti a perseguire strade più realistiche per un serio riequilibrio energetico per la Sardegna. L’assessorato all’Urbanistica della Regione senza mezzi termini sentenzia: «Dal punto di vista urbanistico l’intervento non risulta conforme in quanto non previsto negli strumenti urbanistici comunali». Ma non è finita. A fermare l’ingresso in porto del rigassificatore è ancora una volta il fondale. Nel dietro le quinte tutti sanno che se mai si riuscisse ad avviare i lavori del primo lotto, fermi da sette anni, gli stessi non sarebbero mai sufficienti per far entrare in porto la nave del gas. Il secondo lotto già pianificato, ma non finanziato, prevede, infatti, un ulteriore escavo di 650 mila metri cubi di fondale. Più del primo lotto. Servirebbero almeno 22 milioni di euro che, però, nessuno ha mai stanziato.

Incagliata finì

E che quel porto sia totalmente inadeguato lo rivela un documento finito nelle nostre mani: “simulazioni di manovra Portovesme”. Prove effettuate da Cetena S.p.A. per conto di Technip Energies. I test sulle manovre di ingresso e uscita dal porto, al variare delle condizioni meteo marine tipiche della zona, da parte di un’unità galleggiante e due navi gasiere, fatti dal 9 all’11 maggio scorso, sono un disastro:«Il rimorchiatore di poppa non ha spazio per operare in condizioni di sicurezza. Non si riescono a posizionare le due navi in maniera tale da allineare i collettori». Va decisamente peggio l’altra simulazione: «La nave transita all'imboccatura a circa 6.5 nodi per contrastare l'azione del vento, che intralcia il transito facendo scarrocciare la nave verso il bassofondo. La prua della nave transita vicino alla unità galleggiante durante l'evoluzione e si incaglia sulla scarpata». Incagliata, appunto.

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