Il premier c’è e si è fatto sentire. Dopo giorni di lunga e durissima trattativa europea l’italiano Giuseppe Conte è riuscito a spuntarla sull’olandese Mark Rutte e su quanti, anche connazionali, lo davano per perdente tacciandolo di inadeguatezza. Si tratta di “un momento storico per l’Europa e per l’Italia” utile a “rafforza (re) l’azione (stessa) del governo italiano” permettendo al Paese “di poter contare su ingenti risorse finanziarie per raggiungere gli obiettivi già individuati” e che dovranno essere declinati “in modo concreto”.

Tante, e di tale tenore, sono state le dichiarazioni orgogliosamente rilasciate dal nostro presidente del Consiglio dei ministri, in conferenza stampa, all’esito dell’accesissimo vertice europeo. Dichiarazioni che financo nella loro semplice chiarezza hanno saputo confortare e riaccendere di viva speranza l’animo di un popolo, quello italiano, già fortemente provato e deluso da una gestione della cosa pubblica vissuta per tanti anni in maniera confusa e inconcludente. Sul fronte dell’opposizione, Silvio Berlusconi, dal canto suo, impegnato in prima linea per la buona riuscita della trattativa medesima, ed essendosi “personalmente battuto perché fosse approvato (il Recovery Fund) senza cambiamenti di rilievo”, non ha mancato di esprimere la propria soddisfazione per l’importante risultato conseguito, mentre, al contrario, Matteo Salvini, evidentemente infastidito per il successo faticosamente conquistato dal rivale/ex compagno di Governo e rinnovato premier, ha gridato alla “fregatura” nel disperato tentativo di gettare ombre e sospetti sulla “operazione politica” certamente più significativa degli ultimi anni.

Una Europa più umana, che non volgesse lo sguardo al solo capitale e alla finanza, pertanto, non era una semplice utopia, o, peggio, una chimera, ma un orizzonte raggiungibile attraverso proposte condivise, seppur aspramente discusse, dai suoi autorevoli membri.

Rimbalzano, al proposito, nella mia mente le parole di Papa Francesco del 24 marzo 2017, allorquando, con sentito e profetico spirito di esortazione e di incoraggiamento, aveva affermato che siccome “l’Unione Europea nasce (va) come unità delle differenze e unità nelle differenze”, aveva per ciò stesso “bisogno di riscoprire il senso di essere anzitutto comunità di persone e di popoli consapevole che il tutto è (ra) più della parte, ed è (ra) anche più della loro semplice somma”, sicché, di conseguenza, “bisogna (va) sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che (avrebbe portato) benefici a tutti”.

La stessa gelida e impassibile cancelliera federale tedesca Angela Dorothea Merkel, già nell’anno 2011, in occasione di un discorso tenuto a Bruges, aveva fin da allora inaspettatamente caldeggiato la necessità di andare oltre la distinzione tra metodo comunitario e metodo intergovernativo per approdare finalmente ad un unico e solo metodo, ossia a quello dell’Unione.

Ma allora, se così stanno le cose, arrivati a questo punto, e considerato l’intervenuto accordo sul Recovery Fund e sul Bilancio, ha ancora senso incaponirsi nell’ignorare le trasformazioni che stanno letteralmente stravolgendo l’intelaiatura antiquata e arcaica della vecchia, tirchia ed egoista Unione Europea? Ha ancora un senso sostenere che l’Europa non esiste né esisterà mai? Quali saranno le conseguenze, sul piano nazionale, di questa evolvenda trasformazione da più parti auspicata e da altrettante altre tristemente “gufata”?

Le risposte, chiaramente, e come sempre, sono direttamente conseguenti all’impostazione ideologica di ciascuno di noi la quale, pur tuttavia, non può annebbiarci la mente al punto tale da non farci ammettere, sia pure anche solo intimamente, che i fatti europei degli ultimi giorni hanno certamente assestato un colpo durissimo ai nazional-populismi genericamente diffusi. Intanto, perché, finalmente, pare essersi avviato, forse ancora inconsapevolmente, quell’atteso processo sovranazionale di “democratizzazione” dell’Unione che, finalisticamente disquisendo, individui il popolo come autentico sovrano e favorito destinatario delle scelte politiche della compagine e, quindi, di conseguenza, non più come anonimo partecipante occasionale e/o “strumento” di realizzazione di un oscuro ed estraneo progetto finanziario superiore ad uso e consumo delle fasce di potere.

Quindi, perché col vicinissimo prossimo affermarsi di una Europa nuova di zecca, solidale, ispirata all’uguaglianza sul piano sostanziale e non solo su quello formale di tutti i suoi membri, nonché fondata sul necessario principio di cooperazione interdipendente, assisteremo inevitabilmente al progressivo superamento della dinamica del conflitto e dell’immobilismo fino ad oggi praticata in nome della salvaguardia di non meglio definiti interessi nazionali e nazionalistici portati avanti dai membri più marcatamente sovranisti siccome ideologicamente orientati a considerare l’Europa come puro e semplice “mezzo” utile al raggiungimento di una leadership globale in un mondo di attori, per così dire, globalizzanti e globalizzati.

Infine, perché, siccome ora appare chiaro a tutti che “nessuno si salva da solo” (Papa Francesco davanti al sagrato vuoto), sarà necessario riscrivere le regole interne di funzionamento dell’Unione Europea financo per demolire gli ultimi baluardi nazionalistici ancora presenti all’interno delle sue istituzioni, in particolare nel Consiglio europeo, e finalisticamente orientati a soddisfare gli egoismi di Stato nell’ambito di un più ampio disegno decisamente orientato alla demolizione del “Progetto Europeo” in sé e per sé considerato.

Da ora in avanti, insomma, anche sul piano della politica interna, il sovranismo, affermatosi quasi per incanto sulle macerie della social-democrazia (oggi in via di riaffermazione progressiva) direttamente orientata alla valorizzazione della diversità culturale e dell’accoglienza, nonostante il malcontento generale ancora largamente presente nelle fasce più basse della popolazione, non potrà più porsi come paradigma insuperabile. Si è aperta una crepa evidente nella retorica populista del “centrodestra nazionale disunito” il quale, peraltro, sarà chiamato, nel prossimo immediato futuro, a rivedere la propria impostazione marcatamente “destrorsa” e in qualche misura estremista che, sebbene territorialmente radicata, specie nel Nord Padano, è comunque destinata a restare sopraffatta dal mutamento repentino dei tempi e dalla mareggiata di insoddisfazione generale del Paese il quale, oramai, e a sua volta, potrebbe ben determinarsi nel senso di voler ripartire proprio da Giuseppe Conte, uomo di mediazione e di indiscusso equilibrio, e dal suo esecutivo, forse un po' arlecchino, ma ancora capace di fare squadra nella consapevolezza non solo di dover valorizzare le varie forze di quello che fu, nel passato più o meno recente, il “Grande Centro” ingiustamente dimenticato da decenni, ma anche di dover gestire un conflitto che non può più semplicemente estrinsecarsi tra Destra e Sinistra, quanto, piuttosto fra forze politiche favorevoli all’integrazione europea, all’immigrazione controllata, agli scambi internazionali e forze politiche orientate invece alla “chiusura” e alla tutela dei confini territoriali e destinate, per ciò stesso, alla naturale estinzione.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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