«Se possiamo stare tranquilli? Tranquilli no, direi che è necessaria una vigile attenzione». Insomma, a leggere la mappa dei colori delle aree idonee all’insediamento del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, la Sardegna non è esattamente in cima alla graduatoria; epperò Giorgio Querzoli, docente di idraulica nella facoltà di ingegneria dell’Università di Cagliari e componente del comitato scientifico di Legambiente, avverte che (per una volta non si parla di virus) «sarebbe bene non abbassare la guardia». Mentre l’Italia è reduce da venti mesi di pandemia ed è alle prese con la foga delle riaperture nella speranza che il vaccino funzioni come la mano del cielo, la Sogin, società pubblica che dal 1999 gestisce i rifiuti radioattivi, ha ricordato che c’è da trovare il territorio più adatto per custodire 78mila metri cubi di scorie nucleari, sicché – pubblicata a gennaio la mappa dei siti potenzialmente idonei - ha cominciato il giro di consultazioni tra le regioni scelte e l’altro ieri, appunto, è toccato alla Sardegna.

L’Isola in classe B

La Sardegna ha ripetuto quel che dice da vent’anni: qui niente scorie nucleari. Il presidente Christian Solinas ha chiesto che «lo Stato rispetti la volontà del Consiglio regionale e l’esito del referendum 2011, quando oltre il 97% del popolo sardo votò contro la localizzazione delle scorie nell’Isola», e ha ricordato che «un Comitato tecnico scientifico ha già trasmesso il 26 marzo scorso le argomentazioni che dimostrano l’inopportunità di una simile scelta», dalle troppe servitù militari che già pesano sull’Isola ai rischi legati ai trasporti e al sistema idrico. Va detto, per chiarezza, che i 14 siti della Sardegna finiti nella mappa dei 67 individuati in tutta Italia, non sembrano essere tra quelli più accreditati. L’Isola è infatti in classe B, aree insulari, terza scelta assieme alla Sicilia, in una lista che vede come aree più idonee (classe A1, definite molto buone) diversi siti in Piemonte (province di Torino e Alessandria) e nel Lazio (Viterbo); e interessanti ma meno adatte alcune aree (classe A2-buone) in Puglia, Basilicata e Toscana.

L’elefante tra i cristalli

Il nome del territorio che ospiterà il deposito dovrebbe essere trovato entro novembre, ma l’intento della Sogin è far sì che gli incontri con le singole Regioni coinvolte spinga qualcuna a presentare, tra osservazioni e dinieghi, un’autocandidatura. Non sarà sicuramente la Sardegna a farsi avanti. «Non siamo la scelta più opportuna, l’area più adeguata a ospitare un deposito di scorie nucleari, qualcosa che, per dimensioni, spazi e volumetria, sarebbe un elefante in un negozio di cristalli», sottolinea il professor Querzoli che ha curato la relazione tecnica di Legambiente illustrata durante l’incontro con Sogin. «Siamo consapevoli che l’Italia ha bisogno di un deposito nazionale per gestire in sicurezza le scorie radioattive, e riteniamo positiva la procedura partecipata avviata da Sogin. Detto questo, abbiamo messo in evidenza una serie di criticità, e la conclusione a cui siamo giunti è che la Sardegna non è il sito migliore». Tutte le aree ritenute potenzialmente idonee, dalla Marmilla al Sarcidano, alla Trexenta, «si trovano a poca distanza, meno di due, tre chilometri, da paesi, zone di interesse ambientale e paesaggistico, siti archeologici e culturali anche di straordinario valore come ad esempio Barumini». Vero, dice il docente dell’Università di Cagliari, «Sigin inserisce la nostra regione in classe B, ma è sempre bene stare allerta. Vigile attenzione, ecco cosa serve».

Le reazioni politiche

Sul tema che in Sardegna ha unito, e unisce, da cinque lustri tutti gli schieramenti politici, interviene la deputata Mara Lapia (Centro Democratico) la quale si dice preoccupata «che il presidente della Regione non conosca le azioni politiche che si stanno promuovendo a Roma da tempo». Cioè la mozione unitaria approvata ad aprile dal Parlamento che impegna il governo a«preservare tra gli altri – è scritto nella nota – il territorio sardo». È stato il risultato, dice Lapia, «di un lungo lavoro di concertazione tra le forze di maggioranza» che ha portato a tener fuori «le isole, i territori gravati da servitù militari, i siti Unesco». Romina Mura sottoscrive quanto detto da Emiliano Deiana, presidente dell’Anci, che ha ricordato «la pericolosità del trasporto delle scorie via mare» e «la fragilità delle aree indicate, a rischio spopolamento». L’Isola, sottolinea la deputata Pd, «non può essere il luogo del deposito. Non è il più idoneo, e i sardi, direttamente con un referendum e tramite i loro rappresentanti, hanno detto no».

Piera Serusi

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