Frattanto che a livello nazionale il conflitto russo-Ucraino pare continuare ad essere, settimana dopo settimana, attraverso il meccanismo del “bombardment of daily information”, l’argomento di “distrazione di massa” e quasi il “pretesto” utile all’esecutivo di (dis)unità nazionale per posticipare la risoluzione delle varie criticità che quotidianamente incalzano gli italiani, tragicamente destinati a fare i conti (quelli più fortunati, si intenda, che mensilmente possono ancora contare sul cosiddetto “ventisette”) con il crollo del potere di acquisto della moneta e con il contestuale rincaro del costo della vita, nel nostro piccolo contesto regionale la situazione parrebbe non discostarsi dal trend nazionale se non per gli effetti ulteriormente deteriori derivanti dal “condizionamento” geografico-ambientale, caratterizzato dall’immobilismo stagnante, dalle connesse limitazioni territoriali che, con il trascorrere degli anni, lungi dall’essere “contenute” e magari “risolte” da, e attraverso, iniziative politiche ispirate a “razionalità” e “concretezza”, sono divenute via via incolmabili (così perlomeno parrebbe), dalla inesistenza di iniziative occupazionali e imprenditoriali di rilievo sociale, dalla cronica carenza di servizi essenziali.

Certamente, e la considerazione si offre in tutta la sua spontanea evidenza, l’efficienza del governo del territorio, garantita (o meno) dalle differenti classi dirigenti quando di destra quando di sinistra, non appare declinata in misura omogenea nel contesto dell’intero territorio nazionale che pare, piuttosto, aver fatto (e probabilmente suo malgrado) della “disparità” una condizione costante di (sotto) sviluppo. E altrettanto certamente, il miglioramento (attraverso l’emersione e la valorizzazione delle competenze) delle varie Istituzioni (anche e soprattutto di rilievo regionale) potrebbe oggi, e a maggior ragione avrebbe potuto ieri, verosimilmente, contribuire ad amplificare l’impatto delle politiche di “coesione” sul piano nazionale e su quello europeo.

Ma se così avrebbe dovuto essere, e dovrebbe oggi essere, come mai, nel nostro perimetro regionale, non sembrano essere state create le condizioni utili a favorire l’adozione di riforme strutturali dirette a migliorare, potenziandola, la concorrenza, ovvero dirette a incentivare il contesto imprenditoriale, l’istruzione, le competenze, i sistemi di protezione sociale e/o ad implementare il mercato del lavoro?

L’interrogativo appare tutt’altro che scontato se si considera che da diversi mesi, in Consiglio Regionale, si discute di “verifica di giunta” e di “patto di legislatura”: più semplicemente, in gergo, di “rimpasto”, ossia di un mutamento all’interno della compagine di governo al fine, per così dire, di rilanciarne l’immagine dinanzi all’opinione pubblica in ragione delle imminenti elezioni per il rinnovo.  Un po’ come ammettere, sotto voce ma non troppo, un proprio “fallimento”.

Ma, fino ad oggi, quale è stato il bilancio dell’azione governativa sul territorio? Si è fatto corretto esercizio della specialità statutaria? Il principio autonomistico ha di fatto ispirato iniziative valide ed efficienti di razionalizzazione del territorio per consentirne la coesione economica e sociale? La risposta, come sempre, appare in tutta la sua conseguente evidenza.

Intanto perché, malgrado l’autonomia speciale (quella sconosciuta) di cui l’Isola sembra aver goduto solo ed esclusivamente sulla carta, e malgrado gli ingenti trasferimenti di risorse pubbliche di cui è sempre stata destinataria, non si sono mai poste le condizioni per avviare quel processo di crescita interna graduale, ma costante, che ci si sarebbe dovuti attendere.

Quindi perché, parimenti, e direi a monte, è mancata l’attuazione di una trasformazione nel contesto dell’organizzazione istituzionale, da sempre auspicata, che fosse idonea a sostenere lo sviluppo omogeneo in tutte le differenti articolazioni territoriali.

Inoltre perché, nel favorire una articolazione del territorio “a ciambella”, attraverso il riconoscimento e il potenziamento di due poli metropolitani apicali, come sempre, la nostra classe dirigente pare essere venuta meno all’onere, su di essa sola gravante, di procedere alla contestuale valorizzazione di tutte quelle aree interne e forme produttive “minori” ma “caratterizzanti” che non solo continuano ad imporsi in termini di prevalenza, ma che costituiscono, e hanno da sempre costituito, il tratto distintivo della nostra identità storica e ideologica.

Infine, ma tanto altro ci sarebbe da dire, perché a ben considerare, e malgrado le sterili rivendicazioni verbali utili unicamente in campagna elettorale, e probabilmente oramai, neppur più di tanto, in realtà l’apparato governativo del territorio regionale parrebbe, con il trascorrere degli anni, aver di fatto rinunciato a far valere la propria autonomia istituzionale di cui ad oggi, sembra, in effetti, non esservi traccia. Perlomeno questa è l’impressione che si impone all’attenzione della collettività: la rivendicazione della nostra specialità sembra scontrarsi con l’esigenza a questo punto irrinunciabile di poter e voler ancora fare affidamento sulla gestione centralistico-statalista del territorio e delle istituzioni regionali.

In buona sostanza, e dicendolo altrimenti, siamo vittime di un paradosso che noi stessi, sembrerebbe, abbiamo in fondo voluto per la cronica carenza di menti manageriali dotate di un livello ottimale di intraprendenza: “Non vola solo chi non osa farlo” e la Sardegna, rectius, la sua classe dirigente, sembra essersi ben guardata dall’intraprendere l’esperienza del volo restando di fatto ancorata al ramo fatiscente dello “Stato patrigno” su cui, periodicamente, far ricadere le responsabilità della propria inefficienza. La stessa “battaglia” per l’introduzione del principio di insularità in Costituzione, del resto, sembra essere la “prova provata” di questa condizione; quasi, consentitemi, una tautologia linguistica assolutamente non necessaria, ossia una sterile proposizione che, volendo definire un qualche concetto (il fatto incontestabile di essere un’Isola), non fa altro che ripetere sul predicato quanto è già detto sul soggetto (insularità è essere Isola).

Negli anni, e l’ultimo biennio pandemico ha contribuito a portarne a galla le criticità troppo spesso nascoste, parrebbe essere mancata, come di fatto è mancata, la condizione essenziale per il buon governo del territorio, ossia la creazione di quell’equilibrio legislativo coerente tra le differenti articolazioni politiche del territorio: regione, comunità territoriali, società civile. Intendiamoci tuttavia: rimpasto o non rimpasto, l’operazione, condotta nei termini della mera sostituzione senza programma, all’insegna del “cambiare tutto per non cambiare niente”, non serve a nulla se non a placare gli umori all’interno della maggioranza. Occorre riflettere su una organizzazione differente dei poteri all’interno delle istituzioni regionali che sia effettiva espressione di autonomia speciale siccome tale non appare essere, con buona pace dei suoi ideatori, e stante la sua inadeguatezza, il nuovo ordinamento degli enti locali che, lungi dal favorire l’implementazione e la valorizzazione delle piccole e differenti realtà territoriali dell’hinterland, tende piuttosto, e all’inverso, alla loro graduale eliminazione in nome di un centralismo disarmonico vituperato ma in fondo costantemente replicato. Che fine ha fatto ogni buon proposito di riformismo votato al decentramento decisionale per il potenziamento delle comunità locali che, per le loro specificità, possono ben candidarsi ad essere protagoniste attive e partecipative dei meccanismi decisionali regionali? Le riflessioni da fare sono tante e non possono prescindere dal preliminare cambiamento di una classe dirigente che, mutatis mutandis, si ripresenta sempre identica a se stessa e, per ciò stesso, incapace, per vizio di origine, di portare avanti il necessario cambiamento.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato – Nuoro)

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