Il Governo, attraverso il Ministro per i rapporti con il Parlamento, ha posto la fiducia alla Camera sulla riforma della giustizia. Domani, martedì 3 agosto, salvo variazioni di programma, si passerà al voto degli ordini del giorno a partire dalle ore nove, mentre di poi, si passerà al voto finale sul provvedimento che dovrà essere sottoposto all’esame del Senato. “Alea iacta est”: ed in fondo, sia consentito dirlo, tutto sembra essere accaduto nel sostanziale disinteresse generale delle varie parti politiche le quali, più che piantare bandierine di circostanza solo per tenere alta l’attenzione sul tenore delle schermaglie politiche, altro non hanno potuto e/o voluto, e/o saputo fare per incidere con determinazione su una riforma centrale per gli equilibri istituzionali di un Paese in evidente difficoltà programmatico-gestionale.

Lo si intuisce e lo si percepisce, sia pure nella consapevolezza del non poter agire altrimenti per il dover rispondere, primariamente, ed al di là di ogni possibile e comprensibile rilievo critico, ad un comando imposto dall’alto.  Eppure, i segnali tipici di una degenerazione “in fieri”, pur nella loro latenza sostanziale, sembrano essere tutti ben presenti all’interno non solo della comunità politica e dirigenziale del Paese, ma anche in seno alla società civile, strumentalizzata nella sua capacità di discernere i punti salienti di una riforma, quella Cartabia si intenda, orientata e calibrata sull’esigenza di soddisfare “archetipi” ideologicamente preimpostati siccome ispirati su luoghi comuni di pregiudizio tanto fallaci sul piano argomentativo quanto inutili e pregiudizievoli negli esiti sul piano squisitamente pratico.

Intanto, perché, per quanto sorprendente possa in qualche modo sembrare, il dibattito politico sembra essersi arenato sul tema controverso della “prescrizione” fomentando la accesa, ed il più delle volte sterile, diatriba tra cosiddetti “garantisti” e cosiddetti “giustizialisti” benché, ad onor del vero, si tratti di questione assai marginale nella quotidianità della generalità dei consociati e delle Istituzioni per essere piuttosto riconducibile su un piano tecnico-giuridico financo anch’esso insignificante rispetto ai più complessi meccanismi di funzionamento della giustizia penale in merito ai quali, alcuna riforma, sembra essere stata compiutamente meditata.

Quindi, perché la “ratio” dell’istituto della “prescrizione” va ricercata unicamente nell’interesse dello Stato a garantire l’esercizio dell’azione penale relativamente ad un reato commesso, e che si affievolisce, conseguentemente, con il trascorrere del tempo fino a consumarsi definitivamente. Infine, perché il “fraintendimento” di fondo che ha condotto all’attuale “mistificazione” di un istituto semplice, tutto sommato, nelle sue connotazioni di funzionamento, sembra essere stato generato e voluto sempre e comunque sul piano del “controllo” politico a decorrere dal periodo delle cosiddette “Leggi ad Personam” risalenti ai primi anni duemila le quali, dal canto loro, hanno finito per incidere su un utilizzo per così dire “a cesoia”, di carattere meramente “processuale”, di quel meccanismo prescrizionale ingenerando scompensi “sistematici” tramandatisi fino ai nostri giorni e sfociati, da ultimo, in una riforma peggiore rispetto a quella voluta dall’allora Ministro Bonafede, che finirà per compromettere, nel medio-lungo termine, ogni forma di tutela sul piano giuridico.

Detto altrimenti: si tratta di una “pseudo-riforma” (siccome fondata, sembrerebbe, su un criterio di “opzionalità decisionale” del magistrato procedente) che ha più un valore di rilievo politico, di bassissimo rilievo politico oserei dire, che benefici concreti sulle complesse criticità ancora da sciogliere. Come sempre, il merito della questione ha poco o nulla a che vedere con il rimedio proposto ed ingiustamente acclamato dalla gran parte delle forze politiche dell’attuale maggioranza di Governo le quali, a tempo debito, finiranno per pagarne lo scotto non essendo, loro malgrado, “sciolte dalle leggi”.

Ma niente accade per caso: ed ogni accadimento va parametrato ed interpretato sulla base delle vicissitudini governative nel loro complesso considerate. E le vicende legate alla riforma Cartabia non fanno di certo eccezione, tanto più allorquando ogni partito sembri voler rivendicare, come di fatto rivendica, sia pure non troppo convintamente, la propria vittoria sul punto. Da oggi, infatti, ha formalmente inizio il cosiddetto “semestre bianco”, e sembrano essere venuti meno i tempi tecnici utili a consentire la fine anticipata della legislatura.

Il “periodo” prossimo sarà cruciale per comprendere le “involuzioni” della “geopolitica” interna: tanto sul piano delle alleanze in vista non solo dei prossimi appuntamenti elettorali, ma anche della elaborazione di una nuovissima “legge elettorale” che sia in grado di garantire la “seggiola”, nelle attuali condizioni di “taglio del numero dei parlamentari”, alla gran parte dei politici già presenti in Parlamento, quanto sul piano del consolidamento delle forze politiche in campo in vista della formazione di un ulteriore esecutivo che possa incidere sulla prossima elezione del Capo dello Stato.

Tutto, riforma della giustizia compresa, sembra ridursi al perseguimento di questo obiettivo finale anche a prescindere dall’inesistenza di un’autentica programmazione futura sulla cui buona riuscita ci sarebbe già tanto da discutere. La riforma della giustizia, in buona sostanza, buona o cattiva che sia, lungi dal volersi porre come realmente tale, sembra costituire solo la chiave d’ingresso verso un semestre di governo le cui incognite sembrano destinate a dissolversi, forse, di fronte ad una prospettiva di stabilità funzionale del sistema in vista delle prossime “contrazioni” ideologiche tra partiti “in astinenza” desiderosi di riconquistare una propria “maggioranza di governo” per porre definitivamente fine a questa condizione di “maggioranza presidenziale” che poco spazio sembra voler concedere ai vari leader in cerca di nuova affermazione siccome afflitti da un prevedibile calo di consenso che difficilmente potrà essere sanato. A noi, nel frattempo, non resta che fare i conti con un sistema che ha consapevolmente voluto sacrificare ogni buona ragione di diritto in nome della salvaguardia di un compromesso politico alquanto discutibile ed in tutto e per tutto avulso dalla considerazione della salvaguardia dell’interesse generale. Ma si sa: “ha da passà a’ nuttata”, in ogni senso.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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