Da ambo le parti, destra e sinistra si intenda, la preoccupazione maggiore è, nonostante tutto, quella di rinvenire la più ampia convergenza attorno ad una personalità che, al contempo, sia espressione di autorevolezza e di prestigio, si ponga quale garante della Costituzione e, soprattutto, sia in grado di consolidare il cosiddetto “patto di legislatura” già in essere e utile a consentirne la prosecuzione prima ancora che a garantire la fin troppo confusa attività di governo.

Si tratta di una precondizione quasi banale nel suo enunciato, ma talmente pregnante da condurre qualsiasi interprete verso un ragionamento gradato, di volta in volta ispirato da un percorso “ad excludendum”, sul solco del quale figure tiepide e di scarso impatto sociale, quali quella di Marta Cartabia, Letizia Moratti, o Alberta Casellati, sono destinate a dissolversi, assorbite dalla evanescenza di una potenziale interlocuzione dialettica che dovesse concernere la loro persona. Insomma, non sarà il duemila-ventidue l’anno che incoronerà una donna al Quirinale: quelle potenzialmente “papabili” non ne sono all’altezza, e neppure sarebbero in grado di offrire sufficienti garanzie di stabilità interna ed internazionale. L’anno duemilaventidue non segnerà neppure il revival del Presidente Silvio Berlusconi: chi ha avuto ha avuto, e chi ha dato ha dato, “scurdammoce o passato”. E l’investitura formale sopraggiunta con fin troppa facilità da “quei” di “destra”, la dice lunga sull’effetto mediatico che molto probabilmente intendevano perseguire nell’immediato, quasi a volerne giustificare la successiva ritirata programmata per il sopraggiungere di “cause di forza maggiore”, ma troppo poco sui loro effettivi “desiderata” che, lungi dall’essere unanimemente condivisi e seriamente orientati verso il perseguimento di un obiettivo comune, paiono, in realtà, inevitabilmente contrastanti e, semmai, unidirezionalmente diretti a indurre, determinandola fattivamente, la fine politica del fondatore del centrodestra (il quale, dal canto suo, tutto può essere ma non un povero ingenuo).

Del resto, Matteo Renzi, da buon Belzebù, ha già pensato bene di offrire loro la sponda lasciando intendere il proprio incondizionato sostegno nell’ipotesi in cui la coalizione indicasse un nome alternativo a quello dell’anziano Cavaliere. Ma, con Matteo Renzi, e nonostante il suo risicato 2%, si sa, c’è poco, assai poco, da stare “sereni” siccome, quanto a pericolosi tatticismi, ha più che qualcosa da insegnare a Matteo Salvini e Giorgia Meloni i quali, evidentemente, e nella circostanza, “di due non sono mai riusciti a farne uno”. In soldoni: il tradimento dei pretesi sovranisti è dietro l’angolo, e in fondo, in tanti, tanto a destra, quanto a sinistra, sembrano farvi affidamento senza neppure soffermarsi a riflettere su una banale circostanza: la “debacle” pilotata di Silvio Berlusconi, ora come ora, e stante la mancanza di una figura di uguale potenziale carismatico, segnerebbe la fine della intera coalizione e del sistema bi-polare. Se affonda lui, affondano tutti.

Il premier Mario Draghi (Ansa)
Il premier Mario Draghi (Ansa)
Il premier Mario Draghi (Ansa)

Per questa, e per molte altre ragioni, sono certa che se dovesse concretizzarsi la “mala parata”, il Leader di Arcore saprà fare il suo passo di lato, ed addirittura saprà rendersi parte attiva e fattiva della ulteriore scelta: del resto, sempre di Silvio Berlusconi si tratta. A voler essere onesti, ma anche terribilmente pragmatici, anche l’ipotesi di vedere trasmigrare Mario Draghi da Palazzo Chigi al Colle, appare in tutta la sua illusorietà. La sua missione (sussumibile nell’espressione capillare del “rischio calcolato”) è chiaramente fallita, sia per quanto concerne la gestione della pandemia (siamo invero punto e a capo), sia per quanto concerne l’organizzazione razionale dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (siamo sempre più poveri e stanchi), e sia, soprattutto, in relazione al profilo politico, nell’ambito del quale, lungi dall’offrire il richiesto “cambio di passo” rispetto al Governo Conte Due, ha invece agito in totale continuità con lo stesso ed, in alcuni casi, addirittura implementandone gli aspetti più deteriori. Continuiamo, infatti, a brancolare nel buio, privi di una guida solida e convinta in grado di garantire al Paese una linea direttrice sicura da seguire e perseguire.

I Partiti, poi, colpevoli di averne avallato la scelta, sono ben consapevoli dell’errore compiuto, e tutto oggi vorrebbero pur di non affidarsi agli esiti incerti delle urne. Certo è che la sola idea di un Presidente del Consiglio che aspira a balzare agli onori del Colle sol perché probabilmente ispirato in tal senso da Sergio Mattarella, costituisce un “non senso” costituzionale. Tanto più allorquando, ad un desiderio di siffatta consistenza, si aggiunga la pretesa, tutt’altro che velata, di continuare ad incidere, orientandola, sulla formazione del nuovo governo. Ma l’era Draghi è al capolinea: nuovo giro, nuova corsa, ma i vagoni (le Stanze del Potere) sono vuoti ed i passeggeri (i Partiti), ignorando la direzione, preferiscono soggiornare in stazione.

A conti fatti, e con buona pace di tutti, l’unica alternativa astrattamente concepibile e concretamente perseguibile, è quella di un Sergio Mattarella bis, e con buona verosimiglianza, quello, e solo quello, sarà l’esito. Quanto meno per due ordini di ragioni:

1.- perché il prossimo Presidente dovrà necessariamente “imporsi” su una prospettiva condivisa di equilibrio politico;

2.- perché, comunque, dovrà essere il nuovo Presidente a determinare e garantire un rinnovato equilibrio politico che sia duraturo.

Cambiando l’ordine degli addendi, insomma, il risultato, non sembra mutare. Per un verso, o per l’altro, la scelta condivisa costituisce il presupposto imprescindibile. E siffatta scelta condivisa non può che ricadere sull’unico nome utile allo scopo, ossia quello di Sergio Mattarella, da tutti concepito quale “usato sicuro” a prova d’urto. Intanto, perché non parrebbero sussistere le condizioni per poter pensare all’affermazione di un rinnovato sistema maggioritario fondato sulla sopravvivenza dei due schieramenti alternativi al governo. Quindi, perché lo scenario recente ed attuale, caratterizzato dal Governo Giallo-Verde prima, dal Governo Giallo-Rosso poi, e da quello Arcobaleno oggi, è chiaramente indicativo di una tale indeterminatezza politico-sociale da necessitare, come da più parti riconosciuto, di una soluzione in senso proporzionalmente corretto utile ad evitare pericolose frammentazioni.

Infine, perché nessuna soluzione appare tanto conservativa dello status quo, quanto quella di far finta di cambiare tutto per non cambiare nulla, quasi che l’immobilismo programmato possa garantire gli attuali equilibri in attesa della prossima tornata elettorale. Quale soluzione migliore, allora, se non quella di affidarsi al caro e buon Sergio il quale, per tutta risposta, sembra proprio non voler fungere da pura e semplice stampella? Intendiamoci: la narrazione propositiva emergente dal conflitto è certamente erronea ed indelicata, e tradisce la debolezza degli schieramenti in campo. Si sa, la Politica è ingenerosa, e assai poco propensa a sottomettersi apertamente ad una esigenza, sicché il solo pensare di presentarsi dinanzi all’attuale Presidente della Repubblica con il “cappello in mano”, riconoscendone la forza collante, appare quale ipotesi aberrante, seppure necessaria. Torniamo sempre e comunque al proverbiale punto di partenza: o l’attuale Governo Arcobaleno rinviene al proprio interno una condizione di potenziale equilibrio statico e decisionale o il prossimo Presidente, chiunque esso sia, saprà porsi quale parte fattiva determinante nella formazione di un nuovo Governo, rinnovato nei numeri e nella sostanza. Ad oggi, credo di non avere dubbi: al 3 febbraio, non sarà né inebriante “whisky” (Silvio Berlusconi), né “placida” soda (Marta Cartabia, Letizia Moratti, Alberta Casellati), né tanto meno “rumoroso” rock and roll (Mario Draghi). Si andrà sul classico e sempre verde “liscio”, sul Sergio Mattarella bis, quale usato sicuro e garantito. Quale miglior modo per evitare le urne?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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