Stando alle notizie riportate dai media, l’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi sarebbe indagato dalla Procura di Roma per finanziamento illecito e false fatturazioni per un prestito ricevuto dall’agente televisivo Lucio Presta. Premesso che l’iscrizione nel registro degli indagati non si traduce mai in una attestazione di colpevolezza, e considerato che il leader di Italia Viva sarà assicurato nelle condizioni di esercitare ogni sua legittima ragione difensiva, al di là delle ragioni e dei torti, tuttavia, come era lecito attendersi, la notizia non ha mancato di suscitare sentimenti contrastanti, contribuendo a dividere l’opinione pubblica condizionata, inevitabilmente, da umori altalenanti alimentati, a loro volta, ed il più delle volte, da dietrologie spicciole destinate a dissolversi nel nulla all’esito di più compiuti ragionamenti ispirati alla concretezza.

Ma, ad onor del vero, sono state le stesse dichiarazioni dell’interessato (“Se qualcuno pensa che io davanti a queste cosa possa impaurirmi, ha sbagliato persona”), rilasciate a caldo, e nell’immediatezza della notizia, ad ispirare, nei commentatori più maliziosi, riflessioni di più ampia portata, e a focalizzare il dibattito, sia pure in via mediata e quasi sottovoce, sulla attualità (se ancora può dirsi tale) della coincidenza tra “giustizia ad orologeria”, interpretata verosimilmente da quella minoritaria falange della magistratura chiamata ad accertare eventuali reati commessi da esponenti politici, ed “indagini politiche”, quasi che l’una possa qualificarsi, da qualche tempo a questa parte, quale antecedente logico necessario dell’altra.

La ricostruzione potrebbe apparire poco plausibile, non fosse altro che per la difficoltà di individuare le ragioni profonde di una (presunta) ostilità costante ed ossessiva della magistratura verso la categoria dei politici in quanto tale. Tuttavia, e ciò nonostante, appare molto più semplice lasciarsi andare comunque ad una certa semplicioneria argomentativa, al voler credere (il caso “Palamara” è emblematico al proposito sia pure non rappresentativo, fortunatamente, della generalità delle situazioni) che esista una certa parte della magistratura incline ad orientare il proprio operato verso il conseguimento di determinati fini politici, preordinati “aliunde”, e finalizzati all’annientamento degli esponenti avversari proprio nel momento in cui si trovino all’apice del loro successo. Non sempre però l’ovvietà è sinonimo di “verità”, ed “i corsi e i ricorsi storici” sembrano dimostrarlo: successivamente alle turbolente e discusse vicende legate alla persona dell’indimenticato Bettino Craxi, ad esprimersi negli stessi disinvolti termini sono stati, infatti, praticamente gli esponenti di punta di tutti i partiti politici passati e recenti, quali Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Matteo Salvini, come pure lo stesso Matteo Renzi con riferimento ad altre circostanze giudiziarie involgenti i suoi diretti familiari.

Sembra quasi, e piuttosto, che l’utilizzo della espressione “giustizia ad orologeria” sia condivisa quando dall’una, quando dall’altra parte politica al fine, per un verso, di sottolineare unicamente l’ingiustizia dell’indagine che la coinvolga direttamente, e di stigmatizzarne, per altro verso, la fisiologica correttezza e verosimiglianza allorquando coinvolga la parte avversaria. Il solito gioco delle parti, insomma, dove “Ciascuno”, “vittima per elezione” ed “investitura”, è chiamato, di volta in volta, a recitare la propria parte quando da protagonista, quando da semplice comparsa. Circostanza quest’ultima, che di conseguenza, non può che indurre a rilevare come la locuzione “giustizia ad orologeria” non sia prerogativa della “politica” in quanto tale, quanto piuttosto delle singole soggettività che ne sono espressione. Sicchè, il paradigma della questione non si esaurisce nella semplice contrapposizione tra “politica” e “magistratura”, quali categorie rispettivamente parallele ma mai tra loro intersecanti, quanto, piuttosto, nell’attacco “privatistico” (ed il più delle volte indebito) dei soggetti di volta in volta coinvolti verso il magistrato di turno, quasi che l’esigenza di accertare circostanze fattuali sospette e/o poco chiare possa dirsi condizionata dall’andamento e dal successo della azione politica individualisticamente condotta nell’ambito di una logorante dicotomia, ideologicamente voluta, quanto realisticamente improponibile, tra il “tempismo” dell’intervento dell’autorità ed il suo “merito”. Detto altrimenti: se anche è vero, come sembra essere vero, che la dichiarazione a caldo di Matteo Renzi paia costituire una accusa, velata ma non troppo, rivolta verso il “sistema”, tuttavia, sembra apparire altrettanto vero che l’idea che si possano controllare con esattezza i tempi dell’attività giudiziaria è alquanto disancorata dalla realtà dei processi e delle indagini per come condotte nel nostro Paese, tanto più allorquando si voglia considerarne non solo la lentezza cronica, ma anche la circostanza che il Pubblico Ministero, nella sua funzione di “pubblica accusa” (quand’anche si tratti di espressione limitativa), il quale avrebbe (il condizionale è d’obbligo), nella fantasia dei più, la facoltà di muovere a suo piacimento le lancette dell’orologio, in realtà non è affatto titolare della “tempistica” degli atti che compie, ma solo dell’azione penale in se e per se considerata che decida di impiantare.

Intanto, perché obiettivo primario di ogni pubblico ministero è senza dubbio la verifica della ipotesi accusatoria. Quindi, perché, salve talune distorsioni patologiche endemiche del sistema, ogni potenziale obiettivo preordinato di colpire il politico di turno con una indagine a suo carico è destinato, nel medio-lungo periodo, a ritorcersi sistematicamente contro il suo promotore. Infine, perché, qualunque riflessione se ne voglia dedurre, i magistrati tutti sono chiamati ad applicare le leggi volute dalla politica, sicchè sarebbe illogico, oltre che beffardo, farne ricadere su di essi, quali esecutori materiali, gli effetti pregiudizievoli per il sol fatto di essersi resi responsabili (si fa per dire), nel legittimo esercizio delle proprie funzioni, dell’inceppamento, sia pure momentaneo, degli ingranaggi dell’azione politica. In fondo, all’esito di ogni più compiuta valutazione, verificate le varie stratificazioni sistematiche, l’impressione che se ne ritrae è che ad essere “ad orologeria” sia solo la classe politica nelle sue varie soggettività ed articolazioni che la compongono.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato  – Nuoro)

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